
Un’idea per salvare il Pnrr senza stravolgerlo

Davvero piantare milioni di alberi, realizzare decine di piste ciclabili o ristrutturare stadi di calcio è più importante, o più efficace per la crescita economica, per la politica europea e italiana di ridurre il carico fiscale per imprese e lavoratori? La domanda sorge spontanea quando si guarda al Pnrr e alle paure per i suoi quasi certi ritardi.
L’irresponsabilità di Conte, che ha contrattato il Pnrr
Soltanto la irresponsabilità di chi lo ha contrattato nell’urgenza sapendo di avere un orizzonte politico limitato, il governo Conte 2, poteva scommettere sul fatto che un paese che fatica a spendere i fondi europei ordinari potesse sobbarcarsi oltre 200 miliardi di euro da spendere in cinque anni, tutti intermediati dalla pubblica amministrazione. Una burocrazia per altro, come notato qui dall’ex ministro Sacconi, difensiva, anziana, gravata da norme illeggibili e che opera sotto la scure legislativa e giudiziaria dell’anticorruzione. Era chiaro che ci sarebbero stati ritardi e fallimenti con qualunque governo di qualsiasi alchimia politica. La prima parte della realizzazione del Pnrr era la “più facile”, ma anche quella ha avuto i suoi patemi, poiché destinata a fare le leggi e a predisporre gli uffici.
Ma fare leggi e decreti non vuol dire realizzare riforme e opere, e l’attuale esecutivo si trova ora a dover attuare tutto ciò che è stato predisposto, la fase più difficile sia per la debolezza burocratica in cui versa l’Italia sia per la scelta all’origine, politicamente discutibile, del Next Generation Eu di utilizzare tutti i fondi e i prestiti. C’è da chiedersi come poter rimediare a questa situazione, contrattare con la Commissione europea, ottenere delle modifiche al piano ed evitare che le rate vengano bloccate.
Non stravolgere il piano ma cambiare gli strumenti
Ci sarebbe un’idea semplice, forse troppo per la mentalità tecnocratica dell’Unione Europea, per ovviare a molti problemi: usare i fondi per le grandi opere strategiche, per la ricerca e la formazione, e convertire tutto il resto in sconti fiscali per imprese e lavoratori, rispettando sempre la partizione dei capitoli del Pnrr. Qualcuno alzerà il sopracciglio ritenendo questa idea troppo audace per la rigida e sospettosa Europa, ma alla Commissione va pur sempre chiesto di esprimere una preferenza: meglio ritardi, opere incagliate, braccio di ferro di durata pluriennale con l’Italia, fallimento per entrambe le sponde oppure maggiore flessibilità, stanti i medesimi capitoli e la stessa cifra pattuita nel 2020?
Ci sono dei precedenti di flessibilità pur di raggiungere l’obiettivo della crescita a fronte di una spesa già deliberata. Ad esempio, nel 2021 è stato dato via libera al bonus 110 per cento, cioè a una politica keynesiana, fortemente espansiva, generatrice di qualche miliardo di crescita ma anche di molto nuovo debito pubblico. Oppure i fondi di coesione in parte convertiti al Sud in sgravi fiscali per le assunzioni dei giovani da parte delle imprese.
Non si tratta dunque di stravolgere il piano, ma di cambiare gli strumenti di attuazione delle politiche da diretti a indiretti, da investimenti dispersi in una miriade di opere a sconti fiscali per alcuni settori industriali, quelli indicati dallo stesso Pnrr come prioritari. C’è chi obietta che sarebbero aiuti di Stato, ma non c’è forse appena stato un via libera per una massiccia espansione di questi aiuti a vantaggio di Germania e Francia? Insomma nessuno qui vuole lasciar intendere che sia semplice ridisegnare il Piano, la via è stretta ma esiste, e forse può essere percorsa politicamente. O almeno tentata.
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