
Philippe Daverio: «Di Picasso non esiste nulla di brutto. Fu un grande attore, di un egoismo sublime»
«Picasso vende sempre». Soprattutto in Italia, dove, «nel ventesimo secolo, ci siamo dimenticati di fare le raccolte d’arte» e dove «di musei non ne abbiamo molti». A parlare del grande artista, al termine della mostra a Palazzo Reale di Milano, a quarant’anni dalla sua scomparsa, è Philippe Daverio, professore e critico d’arte, che dice: «Come gli impressionisti, Picasso è uno di quei temi che hanno appeal nazionalpopolare» e di cui «si potrebbe farne una mostra ogni tre anni».
Professore, qual è il suo Picasso preferito?
Il mio Picasso preferito è Pablo! Lui stesso. Picasso è un artista assoluto e di tutte le opere che ha fatto non si può dire: «Mi piace questa» o «non mi piace quest’altra»; di Picasso dobbiamo avere rispetto. Così come nemmeno di uno tra i quadri che ha realizzato si può dire che è brutto.
Le sue qualità sono indiscusse, ma come si spiega la sua popolarità?
Picasso era molto complesso da un punto di vista caratteriale eppure è stato accettato dalla parte più raffinata del mercato già prima che scoppiasse la Prima guerra mondiale. Ed è diventato, poi, il pittore di riferimento per tutti a tal punto che, anche quando ha compiuto gesti formidabili, come, per esempio, la realizzazione di Guernica per l’Esposizione universale di Parigi del 1937, era già l’uomo più famoso di tutto il mondo ispanico e inglese. Certo, ha anche saputo gestire la sua notorietà con grande abilità: Picasso è nato primo attore e la forza del suo carattere, di un egoismo sublime, rimane insuperabile.
Qual è l’eredità culturale di Picasso?
Senza di lui il Ventesimo secolo non sarebbe stato il Ventesimo secolo. Senza Picasso non avremmo la stessa idea di modernità che abbiamo oggi. E anche la capacità di combinare le varie tendenze del secolo (forma e colore, disegno grafico e pittura, surrealismo e cubismo…), la dobbiamo essenzialmente a lui.
Quanto manca alla narrazione della crisi, economica e sociale, un nuovo Picasso?
Oppure un nuovo Pericle? Picasso manca alla narrazione della crisi come mancano Sir Winston Churchill, Jean-Paul Sartre e Karl Popper. Gli uomini di cui discutiamo oggi sono leggermente meno gloriosi… del resto, ci sono alcune epoche implosive e altre esplosive. Oggi viviamo in un’epoca implosiva.
In che senso?
La storia cambia costantemente e quello che stiamo vivendo non è un periodo fortunato per la creatività. Oltretutto le condizioni del mondo odierno sono pesanti e non deflagrano. Il Novecento ha vissuto il trauma di due guerre mondiali una dopo l’altra, ma almeno è deflagrato.
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Picasso è un grande artista in senso idealistico: un artista che incarna alla perfezione lo spirito del suo tempo. Come dice Daverio, senza Picasso il Novecento non sarebbe stato lo stesso. Ma lo spirito del tempo è limitato, transeunte. Io personalmente abbraccio l’interpretazione di molti eminenti critici, sopra gli altri Lionello Venturi, secondo i quali nell’opera di Picasso c’è più virtuosismo che poesia. Picasso non interpreta le cose: le deforma in maniera cerebrale come se si sforzasse di trasformare le cose nella sua propria idea delle cose, svuotandole di mistero. Qualche cattolico parlò, secondo me non a torto, di “transustanzazione”: Picasso tenta di trasformare la realtà in sé stesso. Insomma, l’arte di Picasso non è che la lunga, estrema e sistematica celebrazione dell’ego smisurato di Picasso. Ma il suo io è vuoto, le sue deformazioni sono castelli per aria pieni di noia. Insomma, la sua arte è come la musica di Bregovic secondo Elio e le storie tese: “alla lunga rompe i c….” E secondo me il fatto che abbia avuto un successo commerciale smisurato non è un punto a suo favore: da che mondo è mondo, il successo bacia tutti fuorché i migliori. Gli esempi si possono moltiplicare all’infinito.