Petrolio pulito

Di Francesco Amicone
30 Agosto 2007
E' il grande accusato del vituperato Oil for food. Ma Marco Mazarino de Petro risponde: «Non ho mai preso tangenti sul greggio iracheno. Ecco tutte le bugie che hanno scritto su di me»

Dopo oltre due anni e mezzo di indagini, nello scorso luglio il pm di Milano Alfredo Robledo ha chiesto il rinvio a giudizio per la Cogep, una delle società italiane che ha acquistato petrolio iracheno nell’ambito del programma Oil for food, e per Marco Mazarino de Petro, consulente della Cogep in Iraq, con l’accusa di corruzione internazionale per aver pagato – sostiene il pm – tangenti agli iracheni nell’ambito di tale acquisizione. Nel corso delle indagini, de Petro, già parlamentare Dc e poi sindaco di Chiavari, è stato oggetto di una pesante campagna mediatica guidata dal Sole 24 Ore, per essere stato anche consulente della Regione Lombardia per le relazioni internazionali ed essersi occupato, in tale veste, anche di Iraq.
Cominciamo dall’incarico della Regione Lombardia. La sua personale attività in Iraq era compatibile con tale incarico?
Sull’argomento sono state fatte insinuazioni infondate. Ho iniziato a operare in Iraq prima che iniziasse Oil for food, nel 1997, e molto prima dell’incarico della Regione Lombardia, che risale al ’99-00. Ci andai per la prima volta con l’onorevole Roberto Formigoni nel ’94, quando non era ancora governatore della Lombardia, ci ritornai con lui nel ’95. Eravamo mossi dall’intento di fare qualcosa per alleviare il dramma di milioni di bambini iracheni che rischiavano di morire a causa dell’embargo. Ci ritornai ancora nello stesso anno per la mia attività personale per la quale, per alcuni anni, presi a frequentare Baghdad ogni 3-4 mesi. L’incarico della Regione Lombardia, di seguire alcune relazioni internazionali, particolarmente in quel momento l’Iraq, intervenne solo successivamente e mi fu affidato proprio per la conoscenza e la frequentazione che già avevo del paese. Non c’era nulla di incompatibile.
Che attività ha svolto per la Regione?
Non dimentichiamo che l’embargo colpiva soprattutto la popolazione. L’intento della Regione era umanitario e, al tempo stesso, sollecitare il governo iracheno ad adempiere pienamente alle disposizioni dell’Onu al fine di ottenere la revoca dell’embargo. Con la Regione ho organizzato missioni umanitarie, portando a Baghdad medicinali e attrezzature mediche, missioni politico-istituzionali e la partecipazione della Lombardia alla Fiera Internazionale di Baghdad con un proprio stand all’interno del Padiglione Italia gestito dall’Ice. Attività che ho realizzato in costante collaborazione con la rappresentanza diplomatica italiana a Baghdad.
Quale era la sua attività personale in Iraq?
Gli iracheni si sentivano isolati dal mondo e apprezzavano chi teneva contatti con loro. Volevano in particolare far conoscere le loro necessità e le conseguenti opportunità commerciali, anche perché allora in Iraq, come in Europa, si riteneva che l’embargo fosse sul punto di essere revocato. Già nel ’94 mi organizzarono diversi incontri e in particolare un incontro con l’Aviazione civile irachena che mi chiese di interessare Alenia per il rinnovamento del sistema Atc (Air traffic control) dell’aeroporto civile di Baghdad, fornito dalla stessa Alenia e ormai sostanzialmente fuori uso. Sapevo di cosa si trattava e conoscevo Alenia per essere stato per circa otto anni consigliere di amministrazione di Anav (l’azienda dei controllori di volo). Alenia si mostrò interessata al progetto e mi incaricò di seguirlo con il supporto di alcuni tecnici, utilizzando la mia conoscenza generale della materia e i contatti che avevo instaurato con il paese.
Si dice che Alenia l’abbia pagata, ma senza alcun risultato.
Non è vero. Alenia giunse a sottoscrivere un contratto con gli iracheni di circa 20 milioni di dollari. Il contratto, in ottemperanza alle disposizioni dell’embargo, fu inviato al Comitato sanzioni dell’Onu per la necessaria approvazione. Lì fu tenuto fermo per molto tempo, finché scattò l’invasione dell’Iraq e il nuovo governo del paese lo stracciò, non so quanto legittimamente, e affidò la fornitura, credo, ad un’azienda americana.
Come ha iniziato a lavorare per Cogep?
Quando l’Onu diede il via al programma Oil for food, tra il ’97 e il ’98 fui contattato da Cogep, la società dei Catanese, che mi chiese se ero disponibile ad assisterla per l’assegnazione di quote di petrolio nell’ambito di tale programma.
Ma lei non aveva alcuna competenza nel settore petrolifero.
È vero, tant’è che non ho mai trattato gli aspetti tecnico-economici relativi ai contratti di petrolio e tanto meno eventuali “sovraprezzi” da pagarsi direttamente agli iracheni dei quali non ero a conoscenza. Ho messo a disposizione di Cogep i miei rapporti, la credibilità che mi ero conquistata nel paese. Il mio compito era quello di adoperarmi perché nelle diverse fasi del programma ci fosse una assegnazione di petrolio anche per Cogep.
La si accusa di essere socio di fatto della Cogep. Cosa risponde?
Non sono socio né di diritto, né di fatto. Cogep mi ha semplicemente pagato per il mio legittimo lavoro.
Ha parlato di “sovrapprezzi”, in realtà erano tangenti.
Non sono d’accordo. Per quel che ho appreso nel corso delle indagini, si trattava propriamente di sovrapprezzi imposti dal governo iracheno, a partire dall’anno 2000 circa, a chi acquistava il petrolio. Sovrapprezzi che si aggiungevano al prezzo stabilito dal programma Onu, che veniva comunque regolarmente pagato all’Onu. In questo senso, non toglievano nulla ai proventi dell’Oil for food.
Comunque Oil for food è stata una grande truffa. Concorda?
Penso che sul programma Oil for food venga gettato fango anche oltre i suoi demeriti. Il programma doveva servire a costituire risorse finanziarie per l’acquisto di beni di prima necessità per la popolazione irachena. Partecipare a questo programma era anche un modo per aiutare il paese. E il programma in realtà ha corrisposto a questo scopo. Se i proventi del petrolio non sono stati pienamente o adeguatamente utilizzati – ma non ho elementi per dirlo, se non le affermazioni dei media -, questo è un capitolo che esula dalla compravendita del petrolio ed occorrerebbe quanto meno chiedersi cosa sia successo dentro l’Onu che gestiva questi proventi e approvava tutti i contratti.
A proposito di Onu, lei è stato sentito dalla commissione Volker.
Alcuni esponenti della commissione sono venuti in Europa per sentire diversi personaggi ritenuti coinvolti nell’Oil for food. Poiché l’Onu non ha alcuna competenza giurisdizionale, doveva trattarsi di una semplice chiacchierata informale e riservata per capire meglio cosa era successo. Molti si sono rifiutati. Personalmente ho ritenuto di collaborare. Si è trattato in realtà di un interrogatorio di tipo poliziesco, di cui non ho mai potuto leggere e tanto meno sottoscrivere il resoconto verbale. Di esso tuttavia sembra siano filtrate alla stampa alcune dichiarazioni a me attribuite e assolutamente inesatte.
Ritiene di avere qualcosa da rimproverarsi?
No. L’Iraq è stata per me occasione di una esperienza anzitutto umana, in un paese martoriato da guerre, embargo e regime, in una regione che ha una storia importante anche per noi cristiani. Ho avuto modo di parlarne a Baghdad più di una volta anche con il Nunzio della Santa Sede di allora, commentando le conseguenze del perdurare dell’embargo sulla popolazione ed i suoi possibili effetti sul rapporto tra musulmani e cristiani che in Iraq erano sempre stati buoni. Pensi che durante i numerosi viaggi in Iraq, dovendo, per via dell’embargo, sbarcare dall’aereo in Giordania e proseguire per Baghdad in auto, mi è capitato di incontrare ad Amman delle suore cattoliche italiane che gestiscono una scuola per bambini di profughi iracheni e palestinesi, in uno dei quartieri più poveri della città. Con l’aiuto di amici italiani, fra cui gli stessi Catanese e altre persone della Cogep, è stato possibile aiutarle ad andare avanti.

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