Pero, operai presidiano l’azienda Hydronic Lift: «Hanno chiuso durante le ferie, senza dirci perché»

Di Chiara Rizzo
28 Agosto 2013
I 19 operai hanno trovato i lucchetti in fabbrica: «Sappiamo che il bilancio era in attivo, le commesse non mancano, eppure ci hanno improvvisamente avvisato che si andava in cassa integrazione»

Dopo il caso della Firem di Modena, l’azienda che avrebbe dovuto riaprire i battenti il 26 agosto dopo le ferie estive, e invece ha trasferito i macchinari in Polonia senza comunicare nulla, scoppia quello della Hidronyc Lift di Pero, che produce componenti idraulici e meccanici per ascensori. Ma l’azienda di Pero non si è trasferita all’estero: le due vicende hanno in comune la data del 26 agosto, giorno in cui anche gli operai di Pero si sono presentati in fabbrica per riprendere a lavorare, ma hanno trovato i lucchetti ai cancelli.
In quest’ultima vicenda c’è stata almeno una comunicazione ai 19 operai, che hanno ricevuto una raccomandata il 9 agosto, mentre erano in ferie: «La notizia resta comunque improvvisa, ci è arrivata dal nulla l’informazione che non avremmo ripreso a lavorare dopo le ferie, senza avviare alcuna trattativa sindacale. Eppure fino al 2 agosto, quando siamo andati in ferie, eravamo pieni di commesse»: a parlare è Marco Frosi, operaio, 46 anni, quasi metà dei quali trascorsi proprio all’Hydronic Lift, che oggi 28 agosto insieme agli altri 18 colleghi ha iniziato a presidiare la fabbrica. «Qui i macchinari sono ancora al loro posto, nel capannone. Vogliamo evitare che li spostino di nascosto».

Siete riusciti a parlare con il proprietario dell’azienda?
Sì, abbiamo parlato telefonicamente, ma solo ieri mattina, l’amministratore unico e rappresentante dell’impresa, Alessandro Tonolini. Durante le ferie l’azienda ha trasferito gli otto dipendenti amministrativi che prima lavoravano qui a Pero in una nuova sede, a Gallarate. Dopo vari tentativi e con difficoltà abbiamo finalmente rintracciato Tonolini. E lui ci ha detto che la produzione non vuole più farla a Pero perché gli costa troppo, i capannoni sono in affitto, ora vuole esternalizzare. Noi fino al 2 agosto abbiamo lavorato tranquillamente, le commesse sappiamo che ci sono, l’azienda va bene.

Vi ha parlato di problemi economici dell’azienda?
No, nessun problema. Abbiamo saputo che il bilancio del 2012 era in attivo di 3 milioni e 950 mila euro. Non solo, ma fino ad oggi, non c’erano mai stati neppure problemi con i sindacati. Tra giugno e luglio più volte avevamo chiesto all’azienda se ci fossero difficoltà, e invece ci confermavano sempre che tutto andava bene e a giugno la Hydronic Lift ha firmato un nuovo contratto con il sindacato, che prevedeva un aumento per il premio di produttività di 150 euro. Come potevamo immaginare che avrebbero chiuso?

A questa domanda cosa vi hanno risposto?
Tonolini non ha voluto dire nient’altro, solo che il 30 agosto l’azienda ha un incontro con il sindacato. Noi 19 operai vogliamo rimanere qui a Pero e vorremmo sapere quale fine faremo. Al telefono abbiamo detto che abbiamo famiglie e figli, la risposta dell’amministratore è stata che gli dispiaceva. Basta.

Finora comunicazioni avevate ricevuto?
Il 9 agosto ci hanno mandato una raccomandata per dire di prolungare le ferie sino al 30 e che, dopo, sarebbe partita la cassa integrazione straordinaria. Dopo la raccomandata ci hanno scritto una lettera con una semplice comunicazione aggiuntiva: «Vi comunichiamo il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per 19 persone a zero ore, per la cessazione di attività di produzione e immagazzinaggio». Questo è quanto. All’incontro del 30 con i sindacati chiederemo di continuare a lavorare. Non vogliamo fermarci, vogliamo rimanere a Pero.

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3 commenti

  1. nino

    Auguro di tutto cuore ad Andrea, ad Ilaria e a Clemente di essere licenziati e di non trovare mai più lavoro.
    Chissà se diventano un po’ più umani verso chi ha lavorato in catena per quarant’anni, ne ha 58 e per i prossimi cinque deve chiedere l’elemosina..

  2. Questi avvenimenti sono indubbiamente tristi, ma in casi come questo incolpare l’imprenditore è quanto di più fuorviante possa esserci: la verità è che oggi in Italia è impossibile continuare a fare impresa, lo dicono dati statistici che ci mettono all’ultimo posto in Europa in quanto a carico fiscale complessivo sulle imprese (con un total tax rate del 68,3%: dato della World Bank).
    Data la situazione è normale che gli imprenditori, per far sopravvivere la propria azienda e darle opportunità di crescita reali, guardino fuori dai confini italiani.
    La mia azienda aiuta gli imprenditori ad avviare stabilimenti in Est Europa e Nord Africa. E proprio perché anche noi amiamo l’Italia, ci impegniamo a delocalizzare nel modo più “saggio” possibile, puntando su paesi dove sia possibile mantenere la qualità che contraddistingue il “made in Italy” e assumendo anche personale italiano quando necessario.
    Forse i sindacati, al posto di forzare chi fa impresa a compromessi impossibili, dovrebbero mettersi ai tavoli di chi fa le leggi e sta mandando il paese sull’orlo del baratro dal punto di vista economico
    (l’Italia è sempre meno competitiva a livello mondiale, soprattutto per la profonda inefficienza del mercato del lavoro: fonte WEF).

  3. clemente

    Comunque sia una azienda che ha dato lavoro per anni a della gente non deve essere crimnalizzata.
    Ha fatto molto di più dei comunisti e dei sindacati.
    I Sindacati o i cobas che parlano tanto, perchè non le fanno loro le aziende ?
    Così possono dare lavoro a tutti quelli che vogliono, e tenerle aperte anche in perdita.

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