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Quando andammo con Lodovico Festa e pochissimi altri amici a proporre a Giuliano Ferrara di guidare e dirigere quello che dopo pochi mesi sarebbe stato Il Foglio, nient’affatto sicuri che avrebbe accettato, Ferrara ci disse: «Beh, in effetti cosa può fare un gruppo di disoccupati come noi se non fondare un giornale?».
Nello stesso periodo, Antonio Simone mi presentò Luigi Amicone, che arrivava dall’esperienza del Sabato, con un’idea diversa ma simile: fondare un giornale che convogliasse intorno a sé un mondo, cattolico e laico, che provasse a non disperdere il patrimonio politico e di pensiero che, in quegli anni, era stato massacrato da Tangentopoli. Erano, infatti, gli anni di Mani pulite e si era affacciata per la prima volta sul palcoscenico pubblico un’esperienza nuova (Berlusconi, Forza Italia) che aveva, contro ogni pronostico, battuto alle urne la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. Tutti capivamo che si trattava di qualcosa di molto acerbo, senza delle chiare radici e ...
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