Lettere dalla fine del mondo

Ecco perché la Chiesa e tutti noi festeggiamo il giorno dei defunti

padre-aldo-trento-malatiAlcuni giorni fa durante la processione con il Santissimo Sacramento ho sentito il pianto a dirotto delle infermiere e del personale delle pulizie. Accelero il passo per rendermi conto di ciò che stava accadendo: la responsabile della cucina mi viene incontro singhiozzando: «Padre, è morto Fernando!». Molto ferito per questa notizia, arrivo finalmente nella camera del ragazzo deceduto da alcuni minuti. Le infermiere mentre sistemavano con cura la salma singhiozzavano. Sono rimasto colpito dall’umanità di queste persone, dal cuore semplice che hanno: sanno ridere e piangere con il paziente terminale. Una posizione del cuore che solo Gesù può regalare quando la persona lascia aperta una piccola fessura che gli permette di entrare. Ma questa posizione se da un lato è un dono di Gesù, dall’altro è frutto di un lavoro personale, di una ascesi come dice sempre don Carrón: «Non aspettatevi un miracolo ma un cammino». Il lavoro personale coincide con una intensa vita sacramentale e con la formazione settimanale. Da un anno a questa parte ogni mercoledì si incontrano insieme medici, infermieri e suor Sonia per valutare la situazione di ogni paziente. La chiamano la Interdisciplinare e se non ci sono pazienti nuovi dura un’ora e mezza. Spesso mi chiedono: «Padre, ma come fa il personale medico e paramedico a mantenere sempre aperta questa ferita che permette loro di non scappare, di non cercare un ospedale più tranquillo e di non cadere nell’indifferenza?». La risposta è molto semplice, si tratta di aiutarci continuamente a vivere le tre premesse del libro di don Giussani Il senso religioso, un testo che invito a comprare e studiare.

Questo è un lavoro che nella pazienza ti risveglia il cuore e la ragione. Il ragazzo che è morto si chiamava Ferdinando, aveva 14 anni, già gli avevano amputato una gamba ma la metastasi si era impadronita di lui. Ma non ha impedito a Ferdinando di essere forte. Tutte le sere sulla sedia a rotelle mi accompagnava cantando, aveva una bella voce. Eravamo in buona compagnia, la compagnia di Gesù eucarestia. Stando solo noi nell’ascensore mi diceva: «Padre, questa sera mi porta una pizza?». Mi commuoveva questa domanda per cui dopo aver parlato con i medici, una sera sì e una no, gli portavo la pizza.

Anche la sera prima di morire mi ha chiesto la pizza. Alla mattina seguente i sintomi della morte erano evidenti. Vedendomi vicino al suo letto mi disse: «Preghiamo il Santo Rosario». Non siamo riusciti a terminarlo perché stava troppo male. Grazie al lavoro settimanale sul Senso Religioso le domande essenziali dell’esistenza esplodono, per cui perfino il piangere è una testimonianza della drammaticità della vita. Quando è arrivata la madre di Fernando e piangendo ci chiedeva perché il figlio era morto, non potevamo ignorarla. Ma se uno non è veramente impegnato con la propria umanità, è difficile che l’abbraccio dato alla madre sia la comunicazione di un affetto, per cui il suo dolore diventa il mio e la mia certezza che l’anima di Fernando sta al cospetto di Dio diventi la sua.

Tutto il grande lavoro con le persone è quello di aiutarle a tener sempre viva la piccola fiamma delle domande ed esigenze ultime della vita. In questo momento mi dicono che è morta una giovane mamma di sette figli. Sono cinque coloro che hanno raggiunto il Padre negli ultimi tre giorni. Tutti giovani e poveri. Ricordo che da piccolo mi chiedevo perché il parroco quando moriva uno non piangeva mai, mentre la gente aveva le lacrime agli occhi. Non vedevo la differenza fra il parroco e il becchino, il quale però si consolava con la grappa. Come è facile abituarsi a tutto, abituarsi alla vita. Per uscire da questa abitudine la Chiesa nel mese di novembre dedica un giorno al ricordo dei defunti. Per sottolineare la coscienza che la Chiesa ha dell’ultimo articolo del Credo, il 2 novembre e a Natale sono gli unici giorni in cui ogni sacerdote può celebrare tre Messe. Questo per dire l’attenzione che ha la Chiesa per le anime del purgatorio. Ricordiamoci anche di ciò che è scritto in un cimitero a Milano: «Noi eravamo quello che voi siete, e quello che noi siamo voi sarete». Una provocazione per non scherzare con la vita.

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