
«Perché il Papa va agli estremi confini del mondo»

Ma che cosa ci va a fare papa Francesco a 87 anni ai confini del mondo, in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore? «Va a valorizzare, per l’ennesima volta dall’inizio del suo pontificato, quelle che lui chiama periferie, per far capire a tutti che per la Chiesa ogni luogo del mondo è importante, anche le comunità più piccole, quelle ritenute dalle logiche mondane insignificanti». Così padre Gianni Criveller, teologo e missionario del Pime, una vita spesa per l’Asia, direttore di AsiaNews e Mondo e missione (che seguiranno in un podcast il percorso di Francesco), spiega in un’intervista a Tempi il viaggio in Asia e in Oceania del Pontefice, iniziato oggi e che durerà fino al 13 settembre.
Il Papa percorrerà 32.814 chilometri per un totale di 44 ore di volo con sei compagnie aeree diverse, compresa una dell’aeronautica militare. Ne vale la pena?
Sì, perché per la Chiesa cattolica non esistono luoghi irrilevanti e con questo viaggio il Papa lo dimostra. È un atteggiamento che personalmente apprezzo molto perché la qualità evangelica non si misura sul successo umano, sui numeri o sulle costruzioni materiali, ma sulla qualità della testimonianza cristiana. Nelle sue parabole Gesù utilizza immagini piccole, come il chicco di grano, proprio per dire che anche una realtà minuscola può avere un grande significato.
C’è chi dice che il Papa va in Asia per sopperire al calo di fedeli in Europa e America del Nord.
Questa è proprio una stupidaggine: papa Francesco non è alla ricerca di nuovi mercati religiosi. Chi conosce la Chiesa, sa che non ragiona così.
L’Indonesia è il paese musulmano più popoloso al mondo. Il Papa lo visiterà per portare avanti il dialogo interreligioso con l’islam?
Questo è un aspetto, ma non dimentichiamo che in Indonesia vive una comunità cattolica numerosa e vivace. In alcune zone, come sull’isola di Flores, ci sono comunità cattoliche forti, con molte vocazioni. Tanti giovani uomini e donne entrano nelle comunità religiose e tra i verbiti, saveriani, gesuiti o salesiani gli indonesiani sono già molti. L’Indonesia sta donando al mondo molti missionari, è una realtà davvero significativa.
La convivenza tra cristiani e musulmani è pacifica?
Sì, nella maggior parte dei casi, anche se non mancano talvolta problemi e fatiche a causa della presenza di movimenti islamici fondamentalisti.
Dall’Indonesia il Papa si sposterà in Oceania, in Papua Nuova Guinea, uno dei paesi più poveri del mondo. Che cosa troverà?
Un paese al quale il Pime è molto affezionato perché la nostra prima missione, nel 1852, è stata proprio lì e siamo ancora presenti. Parliamo di un paese immenso, con un numero sterminato di isole, molto interessante dal punto di vista antropologico, praticamente il paradiso dei linguisti, visto che in Papua Nuova Guinea si parlano più lingue che nel resto del mondo messo assieme.
Quanti sono i cristiani?
La maggior parte degli abitanti è cristiana, soprattutto protestante, almeno per quanto riguarda il battesimo, ma il nodo dell’evangelizzazione è ancora cruciale, soprattutto per quanto riguarda il tema del rapporto tra tradizioni, culture locali e fede cristiana. Per la Chiesa è un luogo importante.

Perché?
Perché il paese è completamente estraneo a ogni logica commerciale, coloniale, turistica e strategica. Era così duecento anni fa ed è così ancora oggi. In Papua Nuova Guinea si vede che a originare la missione non è il colonialismo ma il desiderio di dare la propria vita per il Vangelo fino agli estremi confini della Terra, in obbedienza al comando di Gesù. Questo viaggio del Papa testimonia la purezza del Vangelo e della missione.
Timor Est è più piccolo della Sardegna, ma è l’unico paese dell’Asia a maggioranza cattolica insieme alle Filippine.
È un paese piccolissimo, che ha ereditato la fede dai portoghesi. Ma è molto importante perché proprio la fede è stata un elemento che ha forgiato l’identità nazionale e ha motivato gli abitanti a chiedere l’indipendenza dall’Indonesia musulmana, ottenuta solo nel 2002 a costo di enormi sacrifici. Il paese è povero, ha problemi sociali, educativi, forse non cambierà le sorti del mondo, ma merita ugualmente l’attenzione del Papa.
Da un estremo all’altro: l’ultima tappa del viaggio papale è Singapore, il quinto paese più ricco al mondo per Pil pro capite.
È una città-Stato dove i cattolici, pur rappresentando appena il 5 per cento della popolazione, hanno molta influenza a livello sociale. È un luogo dove le tradizioni e la cultura cinese hanno un grande impatto, guidato da un governo illuminato di stampo confuciano.
Il paese non si può certo considerare una democrazia.
No, però è una città libera dove Francesco può entrare. Il Papa non può andare in Cina, né a Hong Kong, né a Macao e neanche a Taiwan, perché comprometterebbe in modo irrimediabile il rapporto con Pechino. A Singapore, invece, che è una realtà multireligiosa e multietnica, può entrare. Ed è bene che lo faccia.
Il Papa riuscirà ad affrontare un viaggio così faticoso?
Ho parlato di recente con persone molto vicine a Francesco e tutte mi hanno detto che, pur essendo anziano, è molto lucido. Soprattutto, da quando ha accettato di affrontare gli spostamenti più impegnativi in sedia a rotelle, il dolore che provava è molto diminuito. Sono certo quindi che, pur nella fatica, riuscirà ad affrontare un viaggio così importante per la Chiesa.
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