
Perché i magistrati continueranno a vincere

Dopo le due interviste – al Fatto e al Corriere – del neopresidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, e le risposte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in Senato e su Repubblica, si è tornati a parlare di giustizia e politica. In verità, non si è mai smesso, ma è certo che, essendo cambiato il fronte polemico anti-toghe (la sinistra renziana e non più il centrodestra del Caimano), la questione assuma caratteri di novità.
Le parole di Davigo sono state pesanti. Far intendere che non esistano politici innocenti, ma solo politici che non sono stati ancora beccati; dare l’idea che tutto il bene alberghi nella magistratura e tutto il male nella politica; segnalare una sorta di continuità tra Berlusconi e Renzi, non poteva non riaccendere gli animi.
QUESTIONE MORALE. Oggi, per esempio sul Fatto è ritornata in prima pagina l’espressione “questione morale”. Ne ha parlato un magistrato famoso, Gian Carlo Caselli, e ha scritto l’articolo che vi aspettate di leggere: non è una battaglia archeologica perché la nostra è una politica ancora infettata «dalle lobby d’affari», «clientelismo», «conflitti di interessi». Si tratta di un peana in onore di Davigo che «ha semplicemente riproposto la questione del rapporto tra etica e politica».
Il bersaglio delle frecciate di Caselli è Renzi, colpevole di aver osato pronunciare in Senato la parola «giustizialismo», termine che è stato inventato «con la precisa finalità di diffondere pretestuosamente l’idea di un uso scorretto della giustizia, costringendo il dibattito a partire da una sorta di verità rovesciata». Una difesa su tutta la linea dello spirito di Mani Pulite, cui Caselli si richiama espressamente, affinché si ritorni all’unica stagione della storia del paese in cui vi fu «un forte recupero di legalità».
IL NODO. Si dirà: schermaglie, battibecchi, vecchie battaglie. Un po’ sì, è così. Anche perché c’è un problema a monte – e ormai storicamente incancrenito – ben colto oggi sulla prima pagina di Libero da Filippo Facci. Renzi ha detto a Repubblica che «noi facciamo le leggi, loro i processi», ma, obietta Facci, «purtroppo non è vero». Tutte le leggi sulla giustizia dal 1989 a oggi hanno teso a introdurre riforme di buon senso: «La terzietà del giudice, la pari dignità tra accusa e difesa, il carcere come extrema ratio, le indagini segrete e il processo pubblico, la prova che dovrebbe “formarsi” in aula, la responsabilità delle toghe che commettano errori gravi, i tempi decenti per avere un giudizio, la relativa prescrizione del reato, la non pubblicabilità di cartacce che non c’entrano col processo, le solite cose».
Il problema è che tutte queste norme si sono sempre «schiantate contro la magistratura stessa». Facci ha ragione: una volta la Cassazione, un’altra volta il giudice di provincia, una volta una corte un’altra una sentenza, si è sempre trovato il modo di “interpretare le leggi”, smontarle a pezzi, renderle inefficaci. Risultato: altre leggine per rattopparle. Ma così è una battaglia persa. «Perché la giurisprudenza la fanno loro, l’interpretazione la fanno loro, l’applicazione contraria allo spirito delle norme è sempre opera loro».
Foto Ansa
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5 commenti
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Imparassero a scrivere le leggi, invece di costringere i magistrati ad interpretare dei pastrocchi indegni di uno studente al primo anno.
Gomblotti………sit nomen omen
e’ necessario togliere alla magistratura lo spazio della politica, va eliminata l’associazione dei magistrati, non ne hanno alcun bisogno, va ripristinato lo scudo sui parlamentari come avevano previsto gli scrittori della costituzione, vanno separate le carriere dei magistrati, anzi i giudici e i procuratori vanno eletti come in america e dopo 5 o7 anni se non funzionano vanno a casa
I giudici e i procuratori eletti come negli States……….ora non che gli Stati Uniti siano proprio il massimo dell’astuzia e dell’intelligenza, certo, hanno fatto anche cose ben fatte, ma l’elezione di giudici, procuratori e quanto altro è proprio una delle peggiori. Soprattutto poi abbinata alla cultura italiana…..lasciamo stare, separiamo le carriere, prepariamo i giudici nn solo dal punto di vista giuridico ma anche umano, facciamo dei concorsi veri e non fasulli e taroccati come al solito e cambiamo tutte le storture che il diritto ha fin qui provocato (anche se siamo la patria del diritto…abbiamo esagerato). Ma l’elezione dei giudici e simili proprio no.
Guardare e imitare altri paesi (gli americani perdipiù !… i cowboys del mondo …) è quanto di peggio si possa fare. Ogni nazione ha la sua storia , cultura, tradizioni, religione da rispettare e mantenere. Le leggi ci sono ma … di certo non piacciono ai giudici come quelli della canzone di De Andrè. Anzi, ora sono molto peggio, non vi è limite al loro delirio di onnipotenza.