Perché è giusta la proposta di fare Rosario Livatino Patrono dei magistrati

Diversamente da quel che scrive Repubblica, il beato ucciso dalla mafia aiuterebbe a conferire all’ordine giudiziario quella credibilità che ha perduto

«Verus philosophus est amator Dei» (cioè, solo chi ama Dio è vero filosofo), scriveva sant’Agostino nel suo De civitate Dei, non già per arruolare adepti e proseliti, ma per indicare la linea verticale e filosofica, cioè razionale e relazionale, della trascendenza che si staglia al di là di quella orizzontale e filologica, cioè limitata e autoreferenziale, dell’immanenza.

Le parole di sant’Agostino, in sostanza, chiariscono che soltanto chi cerca e ama la verità oltre il mondo, oltre il tempo, oltre se stesso, può dirsi realmente vero filosofo, cioè autentico amico della sapienza, e quindi del sommo bene e della giustizia, cioè, in ultima istanza, di Dio.

Gli altri, quelli che come Giuda rimangono incastrati negli interessi personali, quelli che come Pilato non vogliono o non possono riconoscere la verità neanche quando questa si offre liberamente dinnanzi ai loro stessi occhi, quelli che come gli imperatori romani dell’epoca protocristiana pretendevano di essere incensati come divinità – assolutizzando il proprio potere ben prima di ogni assolutismo machiavellico o hobbesiano –, ebbene, gli altri che non sanno leggere le parole di sant’Agostino sono destinati a rimanere prigionieri della storia, ostaggi di se stessi, sequestrati dalla propria stessa ideologia.

L’articolo di Repubblica

In tal senso si può e si deve intendere il commento di Liana Milella su La Repubblica, dello scorso 21 giugno 2024, contro l’iniziativa del Procuratore di Avellino Domenico Airoma che, in rappresentanza del “Comitato per l’elezione di Livatino a Patrono dei magistrati”, ha inviato a tutti i presidenti delle Corti d’Appello italiane e ai Procuratori Generali la richiesta di aderire alla proposta di eleggere la figura del beato Rosario Livatino – giovane magistrato ferocemente ucciso dalla mafia nelle campagne siciliane alla fine della calda estate del 1990 – come patrono delle toghe.

La contrarietà della Milella, artificiosamente caustica nel merito e alquanto disordinata nel metodo, si snoda su tre argomentazioni principali.

Per la Milella, Livatino non deve diventare Patrono dei magistrati poiché si rischierebbe una schedatura di quelle toghe che dovessero aderire alla proposta; inoltre, secondo la Milella, le toghe italiane devono restare libere da ogni appartenenza religiosa, in linea con la recente riforma della separazione delle carriere introdotta per depurare la magistratura da correnti e ideologie; infine, i magistrati italiani devono riconoscersi, secondo la Milella, esclusivamente nella Costituzione che è di tutti, laici e credenti.

Tutto ciò premesso si possono e si devono effettuare alcune riflessioni per riportare un po’ d’ordine in questo caos apparentemente ben organizzato.

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L’auto del giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990 nei pressi di Agrigento (Ansa)

Un indiscutibile paradigma

L’idea che l’eventuale adesione dei magistrati italiani ad una simile iniziativa possa costituire una schedatura è davvero esorbitante per almeno due motivi: primo, perché si tratterebbe di una adesione volontaria e quindi non obbligatoria, rimessa alla libertà del singolo magistrato; secondo, perché la imponente testimonianza della vita e della morte di Rosario Livatino – ucciso dalla mafia in odium fidei – dovrebbe rappresentare un indiscutibile paradigma per ogni toga italiana che reputi se stessa e il proprio ufficio come qualcosa di più e di diverso dall’essere un mero burocrate dell’apparato giudiziario, quanto, semmai, una persona innamorata del diritto come arte di distinzione del giusto e dell’ingiusto.

Mentre, infatti, nelle sonnolente facoltà di giurisprudenza italiane ci si limita ad insegnare – per di più male – le norme, e nelle scuole di magistratura ci si concentra soprattutto su come interpretarle specialmente alla luce delle migliaia di sentenze che ogni giorno vengono confezionate dalle corti italiane, nessuno si preoccupa di insegnare ai giovani giuristi e ai giovani magistrati a scalare le tortuose vie della giustizia e della razionalità giuridica.

Proprio per questo nessuno più delle toghe italiane, probabilmente, necessita – specialmente oggi – di quel tipo di assistenza morale, spirituale e intellettuale che soltanto un Patrono, meglio se santo, ma quanto meno beato come Livatino, può realmente offrire e garantire.

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Ideologie e religioni

La seconda obiezione mossa dalla Milella appare davvero stravagante, poiché si equipara l’eventuale militanza ideologica del magistrato all’appartenenza religiosa.

L’errore sostanziale alla base di una simile prospettiva è evidente e grossolano, e per tre motivi.

In primo luogo: c’è una differenza strutturale tra le ideologie e le religioni in genere e quella cattolica in particolare; mentre infatti le ideologie sono strumenti di negazione della realtà, mezzi con cui la realtà viene plasmata secondo il volere dell’ideologia medesima, le religioni e quella cattolica in specie sono il fondamento della realtà, poiché può ben darsi un uomo non ideologico, ma non può darsi un uomo non religioso in quanto tutti gli uomini possiedono un’anima, perfino gli atei.

In secondo luogo: se già è difficile ipotizzare che un magistrato ponga da parte l’ideologia a cui ritiene di dover aderire, ancor più difficile è immaginare che possa prescindere dalla propria formazione religiosa e vita spirituale, non solo perché si troverebbe a lambire i confini dell’apostasia (qualunque fosse il suo culto di riferimento), ma anche perché proprio la stessa Costituzione – se letta e compresa con calma e attenzione – garantisce la sua spiritualità come quella di qualsiasi altro cittadino.

In terzo luogo: equiparare ideologie e religioni è essa stessa un’operazione ideologica, tanto più tale quanto meno si espongono in modo articolato le ragioni di una simile equiparazione, come appunto nel caso della Milella che ha perentoriamente emanato i suoi “dispositivi” sul punto tralasciando di fornire adeguate motivazioni a supporto degli stessi.

La stele fatta erigere alla periferia di Agrigento dove fu assassinato il giudice Livatino (Ansa)

La Costituzione

Infine, l’idea della Milella che i magistrati debbano riconoscersi soltanto nella Costituzione è fuorviante rispetto allo spirito e alla lettera della Costituzione medesima, ed è, soprattutto, una idea quanto mai pericolosa.

La Costituzione stessa, infatti, non pretende di esaurire l’interezza del senso dell’ordinamento giuridico, come si evince dall’utilizzo reiterato del verbo “riconoscere” utilizzato nelle norme che sanciscono e tutelano libertà e diritti fondamentali (libertà personale, parola, coscienza, pensiero, culto ecc).

Significa che i Padri Costituenti erano ben consapevoli che non ci si può riconoscere soltanto nella Costituzione, poiché c’è ben altro al di là essa, come, per esempio, la dimensione del diritto naturale da cui discendono quei diritti fondamentali che la Costituzione non concede e non costituisce, ma, per l’appunto, riconosce.

Inoltre, la velleità di riconoscersi soltanto nella Costituzione è la riproposizione edulcorata e aggiornata delle pretese ideologiche dei regimi totalitari del XX secolo che – impantanati nel loro immanentismo – esigevano l’obbedienza assoluta e totale del cittadino, come del funzionario o del magistrato, impossibilitati tutti a riconoscere qualsiasi altra dimensione che non fosse quella professata dalla legge, dalla norma fondamentale o dalla direzione del partito di riferimento.

Un’idea opportuna e adeguata

In conclusione: la figura di Livatino come Patrono dei magistrati non soltanto appare opportuna e adeguata, ma soprattutto quanto mai necessaria, soprattutto per tornare a conferire all’ordine giudiziario quella credibilità che con il tempo sembra aver perduto, proprio perché, come insegnava Livatino, ciò che un giorno sarà “giuridicamente” rilevante, nell’unica udienza che tutti noi avremo dinnanzi all’unico Giudice della storia e dell’universo, non sarà tanto se saremo stati credenti, quanto soprattutto se saremo stati credibili, e una magistratura autoreferenziale è tutto tranne che credibile.

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