
Per uscire dalla crisi, l’Italia tagli le tasse sul lavoro per 32 miliardi di euro
Tagliare le tasse sul lavoro per un importo pari ad almeno un punto percentuale di Pil, ovvero 16 miliardi di euro, se non addirittura due punti percentuali, pari a 32 miliardi di euro. È questa l’unica misura che l’Italia deve adottare, se davvero vuole uscire dalla crisi rimanendo nell’euro, secondo la firma economica del Financial Times, Wolfgang Münchau, già noto ai lettori italiani per aver duramente criticato la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’ex presidente del Consiglio Mario Monti per come hanno deciso di gestire la crisi nei due rispettivi paesi di provenienza.
OGNUNO PAGHI IL SUO DEBITO. Occorre innanzitutto constatare, spiega Münchau, che è finito il tempo di discutere delle possibili vie d’uscita dalla crisi, perché, benché «la crisi dell’euro non sia ancora stata superata, un’importante decisione è stata presa. Il dibattito su quali politiche adottare, infatti, si è concluso. La decisione di non sostenere collettivamente le banche dell’eurozona ha chiuso la porta in faccia ad ogni forma di mutualizzazione del debito» in Europa.
Ciò significa che, d’ora innanzi, «ogni tipo di aggiustamento dovrà essere operato unicamente per mezzo dell’austerity e ricorrendo alla deflazione dei prezzi in periferia», e quindi anche in Italia, senza aspettarsi diversi interventi da parte dell’Unione europea. Anche se «molti di questi aggiustamenti devono ancora essere attuati». Per questo è stato deciso, aggiunge Münchau, che «il fardello del debito, in quei paesi che ancora lo detengono, sarà estinto unicamente ripagandolo, e non, invece, tramite il ricorso all’inflazione, a pratiche di defalut o a condoni».
GUARDIAMO ALLA GERMANIA. Inoltre, in attesa della decisione della Corte costituzionale tedesca sulle possibili operazioni di acquisto di titoli da parte della Bce a sostegno dei paesi in difficoltà dell’eurozona (Omt), operazioni che, peraltro, il presidente della Bce Mario Draghi ha finora solo annunciato a parole ma mai di fatto ancora adottato, secondo Münchau, all’Italia non resta che una strada da percorrere per sopravvivere nell’eurozona: «Senza prospettiva alcuna di una possibile mutualizzazione del debito», infatti, «l’Italia non può che far diventare la sua economia il più simile possibile a quella della Germania». E aggiunge il commentatore tedesco: «Dubito che sia fattibile, ma questa è la scelta compiuta da diversi governi che si sono succeduti nel tempo e, pertanto, determina oggi l’agenda delle riforme».
MENO TASSE SUL LAVORO L’Italia, pertanto, riprende Münchau, «deve mettere in sicurezza il suo sistema bancario per porre fine all’emergenza del credito». Ma se l’obiettivo è veramente quello di divenire come la Germania, l’Italia dovrà anche «ridurre il costo del lavoro ai livelli di quello tedesco». In questo senso, lo strumento migliore è quello di «abbattere le tasse che le imprese pagano sul lavoro». Un taglio del cuneo fiscale sul lavoro di un ordine di grandezza pari all’«1/2 per cento del Prodotto interno lordo», che, non avendo l’Italia possibilità alcuna di sforare nel deficit, dovrà essere inevitabilmente compensato da «tagli della spesa pubblica o incrementi di altre tasse». Ma mentre i primi sono domandati a gran voce, gli italiani vorrebbero, invece, veder diminuire sensibilmente le tasse, in particolare quelle sul lavoro e sull’impresa.
COME RIDURRE IL DEBITO? Per quanto riguarda, invece, la «strategia di riduzione del debito», qui tutto è, se possibile, «ancora più difficile», secondo Münchau. Quest’anno, infatti, il Pil italiano smetterà di decrescere, ma non tornerà certo a crescere con forza. E «aumenti nominali del Pil non bastano certo a ridurre il debito» accumulato dall’Italia. Per farlo, nel pieno rispetto di quanto richiesto dal Fiscal compact, che prevede una riduzione del 70 per cento dello stock di debito accumulato nei prossimi venti anni, c’è bisogno di «avanzi di bilancio primari – ossia il surplus prima del pagamento degli interessi del debito – di entità e durata senza precedenti nella storia» italiana. Senza considerare, poi, che le «riforme strutturali possono anche richiedere periodi di tempo nei quali il deficit può addirittura superare il tetto» prestabilito.
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