
Per il Corriere c’è il rischio di un attentato a papa Francesco
Papa Francesco sarebbe un «obiettivo terroristico potenzialmente “facile”». Lo scrive oggi in prima pagina il Corriere della Sera, a firma di Massimo Franco. Il titolo dell’articolo è “Minacce e droni, timori per il Papa”. A leggere l’articolo, tuttavia, non pare esserci una minaccia ben precisa, quanto, appunto, dei “timori”, di cui l’articolista fa un elenco, spiegando cosa si dica fra gli ambasciatori e il personale del Vaticano. Nel pomeriggio, padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, rispondendo agli interrogativi dei giornalisti ha detto che nella protezione del Santo Padre «non vi è nulla di nuovo. Non vi è alcun motivo specifico di preoccupazione. Non mi risulta alcun “innalzamento” della protezione del Papa. È tutto come prima».
TAPPA IN KURDISTAN. Franco racconta che «nell’agosto del 2014, di ritorno dal suo viaggio in Corea del Sud, papa Francesco voleva fare tappa in Kurdistan, un’area incorniciata tra Siria, Turchia, Iraq e Iran. Aveva intenzione di lanciare anche da lì il suo appello a favore dei cristiani del Medio Oriente massacrati dai fondamentalisti islamici. Ma i servizi segreti lo hanno fermato, elencandogli i pericoli che il cambio di programma avrebbe rappresentato. L’episodio riaffiora in questo autunno inoltrato, mentre i timori sulla sua sicurezza si sono impercettibilmente impennati. Forse è solo un riflesso del disorientamento psicologico, oltre che geopolitico, dell’Occidente. Sono i filmati degli ostaggi decapitati dai macellai dell’Isis, lo Stato islamico che ormai sta superando in crudeltà Al Qaeda; e che, oltre a fare proseliti in Europa, alimenta i timori di un attacco contro il Pontefice che ha unito in preghiera cattolici, ebrei, musulmani e ortodossi».
CASA SANTA MARTA E AUTO BLINDATA. Papa Francesco è un Pontefice sui generis, soprattutto per questa sua ricerca continua di un contattato con la folla. Tuttavia, questo, da un punto di vista della sicurezza e della tutela della sua incolumità, crea qualche problema alla Gendarmeria vaticana. Innanzitutto, scrive Franco, per la «scelta di vivere a Casa Santa Marta, altamente simbolica, rappresenta un’incognita. È un albergo, per quanto unico, e dunque riceve dall’esterno forniture di pasta, pane, carne, si fa notare. È un piccolo porto di mare, per quanto super-controllato, separato dall’Italia solo dalle mura che danno su via di Porta Cavalleggeri. E dunque, in teoria il pericolo aumenta. Si aggiungano le udienze nelle quali il Papa cerca di incontrare e di intrattenersi con più gente possibile».
Lo stesso Francesco, sente come una limitazione della sua libertà di movimento, i continui controlli cui è sottoposto: l’uso dell’auto blindata, ad esempio. «Quando alcuni mesi dopo decise di andare a far visita a un amico protestante a Caserta, in Campania, non fu facile fargli capire che usare l’auto invece dell’elicottero avrebbe comportato problemi maggiori: Autostrada del Sole congestionata, scorta della polizia, posti di blocco. Alla fine si adattò ad un piccolo elicottero».
CALIFFATO IN PIAZZA SAN PIETRO. Franco ricorda la copertina di Dabiq, la rivista dell’Isis, in cui campeggiava una bandiera nera sull’obelisco di Piazza San Pietro. «L’Isis promette di non fermare la Jihad, la Guerra santa dell’Islam, “finché non ci troveremo sotto gli alberi di ulivo di Roma ed avremo distrutto quell’edificio osceno che si chiama Casa Bianca”. Il nome della testata è altamente simbolico. Dabiq è il villaggio siriano dove nel 1516 gli Ottomani sconfissero i Mammalucchi, consolidando l’ultimo califfato della storia. E le sue minacce vengono prese sul serio».
Quanto queste minacce sono reali? Lo stesso Franco lancia l’allarme, ma anche un po’ ritira la mano: «Nelle ambasciate occidentali a Roma si avverte una certa inquietudine. Tra i diplomatici ci si scambia impressioni che danno corpo agli scenari più foschi. Ma i servizi di sicurezza italiani e vaticani appaiono più cauti. Analizzando la rivista Dabiq, la sensazione dell’intelligence è che con i suoi proclami l’Isis (acronimo di Islamic State of Iraq and Syria) stia parlando innanzi tutto all’interno del mondo musulmano, per imporre il primato sunnita contro gli odiati sciiti e accreditarsi come unico vero nemico dell’Occidente. Ma non esistono indizi di attentati clamorosi in preparazione da parte del gruppo terroristico. L’unico timore è che qualche affiliato europeo, per imitazione prepari un’azione dimostrativa fai-da-te: magari utilizzando un drone da pilotare su piazza San Pietro durante un’udienza. “Per ora”, viene spiegato, “il pericolo non è quello di grandi attentati ma dell’atomizzazione dell’eversione”».
NESSUNA MINACCIA CONCRETA. Quindi, come detto, si tratta più di un timore, che di una minaccia reale: «Sono informazioni simili a quelle che circolano nei centri studi sull’antiterrorismo, da Washington a Londra. Sono stati esaminati documenti e rapporti che parlano di minacce al Papa. Ma non sono ancora ritenuti tali da convalidare la tesi di un piano sofisticato in incubazione, o di una minaccia concreta. La sensazione degli analisti è che per ora l’Isis concentri i suoi assassinii in Mesopotamia, senza uscire da quei confini religiosi e geografici: sebbene esorti i suoi seguaci europei a colpire, e il numero di terroristi inglesi e francesi “arruolati” dall’organizzazione metta i brividi. Ma il Pontefice continua a fare la vita di sempre. Uno degli aspetti che quanti lavorano con lui sottolineano, è che vuole essere padrone del suo tempo e della sua agenda, geloso della propria libertà».
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