
Per capire perché a Bologna bisogna votare B al referendum per le scuole paritarie, basta saper fare una divisione

tratto dal blog di Maurizio Lupi – Ecco la mia adesione all’appello dell’economista Stefano Zamagni. Sottoscrivo il Manifesto a favore del sistema pubblico integrato della scuola
A Bologna il 26 maggio prossimo si terrà un importante referendum. Il fatto che sia solo consultivo e non vincolante per l’amministrazione non toglie valore alla questione di fondo implicita in questo voto: la libertà di educazione sancita dalla nostra Costituzione.
Per i motivi che seguono io aderisco all’appello dell’economista Stefano Zamagni(qui l’intervista a tempi.it) e sottoscrivo il Manifesto a favore del sistema pubblico integrato della scuola. A Bologna il 26 maggio bisogna votare “B” come bambini.
I cittadini bolognesi pronunceranno su un quesito mal posto: vuoi utilizzare le risorse del comune per le scuole comunali e statali (a) o per le scuole paritarie e private (b)?
La domanda è ingannevole perché non dice che sia le scuole comunali e statali, sia quelle paritarie sono tutte scuole PUBBLICHE. Le dichiara tali una legge del 2000 voluta da un ministro del Pd, Giovanni Berlinguer. Una scuola è pubblica per il servizio educativo che offre e perché ha i requisiti richiesti dal ministero e sui quali è sottoposta a rigide verifiche. In quanto “pubblica” può essere gestita dallo Stato o da soggetti privati.
L’amministrazione di sinistra del Comune di Bologna da vent’anni applica questo criterio nei confronti delle scuole dell’infanzia (3-6 anni), e destina ogni anno
- 35 milioni di euro per i 5.137 bambini che frequentano le scuole dell’infanzia comunali
- 665mila euro per i 1.496 bambini delle scuole statali
- 1 milione per i 1.736 delle paritarie, siano esse gestite da religiosi o da laici.
Basta una divisione: un bambino che frequenta la scuola comunale costa ai contribuenti bolognesi 6.900 euro all’anno, quello della scuola statale 445 (il resto lo mette lo Stato), quello della scuola paritaria 600 (il resto sono rette delle famiglie). Queste ultime accolgono il 21% dei bambini bolognesi ma ricevono solo il 2,8% delle risorse che il Comune destina alla fascia di 3-6 anni.
Chi vuole distruggere questo sistema integrato (le firme per il referendum sono state raccolte grazie alla mobilitazione di Sel e dei grillini) si appella, sbagliando, all’articolo 33 della Costituzione, dove si parla di scuole private “senza oneri per lo Stato”. E’ più che evidente che un asilo che costa 600 euro per bambino l’anno contro uno che ne costa 6.900 non è un onere ma un risparmio; e che se tutti i 1.736 bambini delle paritarie si iscrivessero alle comunali il costo per l’amministrazione di Bologna sarebbe non di un milione ma di 12 milioni di euro l’anno. Questo sì che sarebbe un onere. Lo ha laicamente ricordato ieri anche il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco.
Significativamente anche il sindaco di Bologna, il Pd e i sindacati si sono schierati contro questo referendum; lo hanno fatto, suppongo, perché la libertà di educazione oltre a essere un diritto fondamentale è anche una convenienza per il Paese, culturalmente ed economicamente, una risorsa che non può essere maltrattata per meri motivi ideologici da chi straparla di “privilegi”.
Per questi motivi aderisco all’appello dell’economista Stefano Zamagni e sottoscrivo il Manifesto a favore del sistema pubblico integrato della scuola. A Bologna il 26 maggio bisogna votare “B” come bambini.
Maurizio Lupi
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