
Per affrontare «il vero problema di Cuba», Obama punta sugli affari

Prima l’economia, poi, si spera, il resto. La prima giornata di Barack Obama a Cuba, atterrato ieri pomeriggio, la prima di un presidente americano sull’isola da 88 anni, non lascio spazio alle illusioni: il disgelo cominciato nel dicembre 2014 tra Stati Uniti e il paese della rivoluzione castrista dopo oltre 50 anni non cambierà il regime comunista. Almeno non subito.
ARRESTI E REPRESSIONE. In un anno e mezzo, dal punto di vista delle libertà concesse ai cubani, non è cambiato niente e ieri, poco prima dell’arrivo del presidente Usa, le strade sono state ripulite e almeno una cinquantina di dissidenti sono stati arrestati. Tra questi, anche alcuni degli invitati martedì all’ambasciata americana per incontrare Obama. Uno di questi è Elizardo Sánchez, storico dissidente e presidente della Commissione cubana dei diritti umani e della riconciliazione nazionale, arrestato e poi liberato. «Il regime ha ordinato a tutti i dissidenti di non uscire dalle loro case», dichiara alla Stampa. «Hanno piazzato pattuglie della polizia davanti alle loro abitazioni, per essere sicuri che nessuno si muova».
«IL VERO PROBLEMA DI CUBA». Sánchez è favorevole «al ristabilimento delle relazioni, perché credo che gli scambi economici e quelli tra le persone aiuteranno a cambiare la situazione a Cuba». Gli affari sono importanti perché possono migliorare le condizioni di vita della popolazione, anche se c’è chi pensa che il regime sarà il primo a beneficiare dei rinnovati rapporti economici con la comunità internazionale, l’obiettivo finale però è un altro: «Il presidente [Obama] ha detto che insisterà molto sul tema del rispetto dei diritti umani», continua Sánchez. «Il vero problema di Cuba è la natura repressiva e totalitaria del governo, che non è un serio interlocutore per il dialogo. La questione dei diritti umani è la chiave per il cambiamento di cui abbiamo bisogno».
PRIMA LE AZIENDE. Finora di questo cambiamento non c’è stata neanche l’ombra, ma la speranza è che, sul modello cinese, l’apertura al mondo e la fusione tra capitalismo e comunismo porti prima o poi alla caduta di quest’ultimo. In Cina stanno aspettando da oltre 30 anni, a Cuba hanno appena cominciato. La conferma della nuova strategia è data non solo dagli accompagnatori di Obama, una task-force di imprenditori, ma anche dall’ordine degli arrivi: prima che il presidente mettesse piede a Cuba, accolto non dal presidente Raúl Castro ma dal ministro degli Esteri (piccola stoccata propagandistica), sono stati siglati accordi tra Big Corporation.
GLI INVESTIMENTI. Starwood è diventato il primo gruppo alberghiero Usa a gestire almeno tre strutture a L’Avana; Airbnb, il servizio per trovare camere, aprirà anche per l’isola a partire dal 2 aprile, At&t li seguirà a breve. Se il primo grande cambiamento nei rapporti tra i due paesi si è visto nella liberalizzazione dei voli, ora almeno 20 al giorno, Horace Clemmons e Saul Berenthal, società che produce macchinari agricoli, ha ottenuto il via libera per aprire uno stabilimento a Cuba con un investimento iniziale tra i 5 e i 10 milioni di dollari. Il settore editoriale e Hollywood si sono già messi in fila.
EMBARGO. Nonostante i primi permessi concessi ad alcune aziende, resta il nodo dell’embargo che vieta dal 1960 gli scambi a tutti gli altri. Secondo alcune stime, l’embargo costa 1,2 miliardi di dollari all’anno all’America e circa 700 milioni a Cuba in mancati guadagni. I cubani chiedono la fine del bloqueo e la maggioranza degli americani è ormai favorevole, anche se vorrebbe qualche concessione politica in cambio. Domani Obama incontrerà Raúl Castro e insisterà sui diritti umani: per quelli, però, bisognerà attendere.
Foto Ansa/Ap
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Perché prima d’ora su cosa contava Obama, oltre agli affari?
«il vero problema di Cuba» son los Estados Unidos desde la falsa operación de el Maine.