
Benvenuti a Pechino

«Ero chiusa in ambulanza. Erano le 3 del mattino. Piangevo come una pazza perché non sapevo che cosa stesse succedendo. Non mi sentivo affatto al sicuro». È l’esperienza, «traumatica», che ha vissuto a Pechino Natalia Maliszewska, 26 anni, numero tre al mondo nello short track, dopo che è stata portata dentro e fuori ripetutamente da un centro di isolamento a causa dell’esito contrastante di diversi tamponi. La sua testimonianza, come quella di altri atleti, ha aiutato a portare alla luce la brutalità della strategia “zero Covid” con cui la Cina, che sta ospitando le Olimpiadi invernali, gestisce la pandemia.
«Non puoi capire. Questa è la Cina»
Maliszewska è stata chiusa in un centro di isolamento dopo un test risultato positivo. Sabato mattina, alle 3, è stata prelevata da un’ambulanza dopo un secondo test negativo. «Mi hanno detto che potevo uscire ma cinque minuti dopo hanno cambiato idea. Mi hanno detto che c’entrava la politica e che non avrei potuto capire. Che questa è la Cina».
Dopo un terzo test, questa volta positivo, le è stato concesso ugualmente di allenarsi per competere alle Olimpiadi ma mezz’ora prima di scendere in pista «si sono corretti di nuovo, dicendomi che non potevo gareggiare e che rappresentavo un pericolo per la gente». Domenica sera è uscita nuovamente dal centro d’isolamento, dopo che un quarto tampone è risultato negativo: «Io non credo più a niente. Voglio spiegazioni, nessuno mi dice nulla. Stanno tutti in silenzio».
«Violati i nostri diritti umani»
Le sue parole alla Reuters hanno riecheggiato quelle dell’allenatore della squadra finlandese di hockey, Jukka Jalonen, che ha accusato il protocollo cinese di tenere ancora in isolamento l’atleta Anttila, nonostante siano passati già 18 giorni da quando è risultato positivo. Secondo il medico di squadra, non è più contagioso. «Sappiamo tutti che è completamente sano e pronto e riteniamo che la Cina, per qualche ragione, non stia rispettando i suoi diritti umani. Non è una bella situazione».
Dirk Schimmelpfennig, a capo della delegazione olimpica della Germania, ha criticato la Cina per le condizioni della quarantena a cui Eric Frenzel, il tre volte medaglia d’oro combinatista tedesco, è stato costretto dopo essere risultato positivo al Covid. Schimmelpfennig ha definito «inaccettabili» il cibo, le dimensioni della stanza, la mancanza di wi-fi e di attrezzatura per gli allenamenti. Altri atleti hanno denunciato le condizioni di isolamento previste dalla Cina. Natalie Geisenberger, 33 anni, dopo aver passato diversi giorni in quarantena perché giudicata «contatto stretto» di un positivo, ha minacciato di abbandonare la competizione. La russa del biathlon, Valeria Vasnetsova, si è sfogata per gli stessi motivi sui social: «Mi fa male lo stomaco, sono cadaverica, ho gli occhi cerchiati di nero. Voglio che tutto questo finisca. Piango ogni giorno. Sono davvero stanca».
Benvenuti a Pechino
Lunedì il comitato organizzatore delle Olimpiadi di Pechino 2022 – che ha dichiarato 24 nuovi casi, 5 dei quali riguardanti atleti o membri di delegazioni sportive, 350 in tutto dal 23 gennaio – ha assicurato che cercherà di migliorare la trasparenza e le condizioni di degenza degli olimpionici positivi. I quali, è bene ricordarlo, ricevono un trattamento di favore rispetto a quanto accade ogni giorno ai cinesi sottoposti alla strategia “zero Covid”. Eppure il “modello cinese” di cui le delegazioni si lamentano è lo stesso elogiato dall’Occidente e dall’Oms in questi due anni di pandemia. Benvenuti a Pechino.
Foto Ansa
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