Patton e Teofilo III: «Qui in Terra Santa i cristiani sono già uniti»

Di Giancarlo Giojelli
23 Dicembre 2024
A pochi giorni dal Natale, il Custode di Terra Santa e il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme confidano a Tempi una speranza molto concreta per l’Anno giubilare che si apre: «Presto alzeremo i nostri calici insieme»
I volti di Francesco Patton e Teofilo III accostati in un fotomontaggio

È lì da secoli. Davanti agli occhi di milioni di pellegrini, devoti o semplici turisti. Pochi la guardano, ancor meno la vedono. Eppure è uno dei simboli più importanti in uno dei luoghi più importanti per la fede. Chi si reca a Gerusalemme difficilmente evita una visita alla Basilica del Santo Sepolcro, o, come la chiamano i greco-ortodossi, la Anastasi, la Resurrezione.

La scala a pioli visibile da secoli sopra un portale della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)
La scala a pioli visibile da secoli sopra un portale della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)

All’ingresso, chi solleva lo sguardo al di sopra della porta di destra, da secoli murata, vede una scaletta a pioli. Sembra abbandonata sulla facciata. Ma non è lì per caso. Una semplice scaletta di legno, cinque pioli: è una delle tre usate da secoli per accedere alla serratura posta in alto sull’unica porta della Basilica. Le altre due scale sono all’interno. Pochi o nessuno ci fanno caso. Ma quelle scale, e soprattutto quella lasciata lì sulla facciata, a vista di tutti, sono da due secoli e mezzo, per editto dell’allora Impero ottomano, il simbolo dello “statu quo”, l’insieme di norme non scritte che regolano il complesso del Santo Sepolcro, assegnano spazi e orari per le celebrazione a cattolici latini, greco-ortodossi, armeni, copti, siriaci.

Lo statu quo rese intoccabili quelle divisioni, fissate dal 1767 e confermate nel 1878 nel Trattato di Berlino. Nessuno ha potuto violarle, spostare una scala o una cassapanca, pulire una pietra che non fosse nel proprio spazio, celebrare liturgie o spargere incenso nei momenti che sono stabiliti. Ma qualcosa, anzi molto è cambiato, le pietre del pavimento della Anastasi sono state rimosse, i patriarchi cristiani e il Custode di Terra Santa hanno sollevato la prima pietra insieme. L’inizio di un enorme lavoro di ricerca e di restauro.

L’Anno Santo si apre su quelle pietre e spalanca un nuovo orizzonte. Il Natale qui si dilata, per i cattolici latini si celebra il 25 dicembre, per gli ortodossi che seguono il calendario giuliano il 6 gennaio e coincide con la Epifania.

Il custode di Terra Santa Francesco Patton (foto Ansa)
Il custode di Terra Santa Francesco Patton (foto Ansa)

Patton: «Non bisogna aver paura di scavare»

A Tempi parlano il Custode Francesco Patton e il Patriarca greco-ortodosso Teofilo III, ai quali, insieme al Patriarca armeno è affidato lo statu quo. E sono stati loro a decidere, insieme, di pensare e realizzare quello che era impensabile: dare il via ai lavori nella Basilica, insieme scavare e cercare, superare diffidenze e incomprensioni, inimicizie e scomuniche millenarie.

«Non bisogna avere paura di scavare», dice Patton a Tempi, «scavare sotto le pietre e cercare la verità». Un segno profetico ancor più visibile ora, nel tempo del Natale e dell’Anno Santo, del Giubileo della speranza. Nel momento in cui della Terra Santa si parla solo per raccontare guerra e distruzione e pochi pellegrini osano il viaggio.

I lavori di restauro all’interno del complesso della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)
I lavori di restauro all’interno del complesso della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)

«Il Natale è un segno di speranza», prosegue il Custode, «e qualche segno positivo che ci fa sperare in una situazione migliore si comincia a vedere, speriamo che sia l’ultimo Natale senza pellegrini. I pellegrinaggi sono un aiuto concreto per la nostra gente e i nostri fedeli hanno bisogno di poter vivere dignitosamente del loro lavoro. Ma il Natale apre le porte all’Anno giubilare e alla speranza, qui come in Libano e in Siria dove i cristiani vivono una situazione ancor più difficile della nostra. Il cessate il fuoco non è la pace, ma vuol dire comunque la possibilità di uscire, sia pure a piccoli passi, da una situazione di paura. Lo vediamo in Galilea e nel Sud del Libano. Quando c’è un cessate il fuoco il guadagno è da una parte e dall’altra, e i cristiani vivono nel mezzo di questo conflitto».

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L’Anno giubilare apre nuove prospettive ai rapporti ecumenici?

«Sarà un anno molto importante, perché il tema della speranza che non delude ci pone davanti a un tempo in cui si può sperare contro ogni speranza, come dice san Paolo, bisogna sapere sperare in ogni contesto, anche il più difficile. E sono 1700 anni dal concilio di Nicea che vuol dire tantissimo per tutta la Chiesa, per la fede della Chiesa, perché quello che professiamo ancora oggi è il Credo niceno-costantinopolitano, e quindi ci fondiamo sulla base che unisce la Chiesa di Oriente e quella di Occidente. L’Anno della speranza è l’anno in cui sperare di crescere nella unità».

Cosa manca perché l’unità sia perfetta?

«Per una perfetta unità manca di poter superare alcune difficoltà che non sono tanto dottrinali quanto legate, purtroppo, alla politica e alla storia, ma credo proprio che non manchi molto al momento in cui potremo alzare il calice insieme. In realtà in tutta la Terra Santa i cristiani sono già uniti, anche se le Chiese sono divise, c’è l’identità comune di chi si riconosce discepolo di Nostro Signore Gesù. Al di là della appartenenza a questa o quella Chiesa, a questo o quel rito, i cristiani in Terra Santa vivono e sperimentano nella quotidianità una unità molto maggiore di quanto avviene, ad esempio, in Europa».

Il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III (foto Giancarlo Giojelli)
Il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III (foto Giancarlo Giojelli)

Teofilo: «Sta allo Spirito Santo completare il desiderio»

Teofilo III, Patriarca greco-ortodosso, condivide la speranza del Custode cattolico. «In tutta la Terra Santa», conferma a Tempi, «sperimentiamo l’unione dei credenti nella vita quotidiana. Noi dobbiamo fare la nostra parte, abbiamo l’obbligo morale di lavorare per l’unità, ma il resto è a Lui. Non si unisce la Chiesa con la forza, sta allo Spirito Santo completare il desiderio. Il restauro del Sepolcro, l’unità che si è trovata, è qualcosa di eccezionale, mai accaduta prima. Certo, quello che si sperimenta a Gaza è l’esempio più evidente: nel luogo più terribile, dove si sta consumando una tragedia difficile da descrivere, i cristiani sono uniti e vivono insieme. Settecento fedeli riuniti nel monastero di San Porfirio e nella parrocchia della Sacra Famiglia».

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Teofilo ne è certo: «È questo il compito della Chiesa, in mezzo alla guerra e a una situazione dove sembra perdersi ogni umana speranza: pregare e chiedere a Dio di illuminare i potenti della terra, costruire la pace. È la speranza che confida nella forza della preghiera. Ogni giorno la Chiesa è chiamata a illuminare il mondo. Il Giubileo ha in sé la parola “giubilo”, esulto di gioia, per un evento reale, il Natale, la nascita di Gesù. E questa è la fonte reale, concreta, della speranza».

Ma che cosa può dire la Chiesa di fronte a un mondo che non spera?

«La Chiesa ortodossa è stabile nel futuro perché è rimasta ferma nella tradizione apostolica. Non è stata influenzata dalla pressione del secolarismo. Questo è l’errore di tante Chiese occidentali che cercano di piacere al mondo, di adeguarsi alle mode del mondo. Alla mentalità del mondo. Nella Chiesa ortodossa andiamo nel senso opposto, cerchiamo di trasfigurare il mondo. È questa la differenza fondamentale. Questo è il motivo per cui oggi nel mondo occidentale, specialmente in America, le Chiese sono in grave crisi. Molte chiese si stanno svuotando, hanno sempre meno fedeli, e molti di questi non hanno fiducia nei loro preti, perché i loro preti non usano un linguaggio spirituale, che viene dallo Spirito Santo, ma cercano di parlare come politici o diplomatici. Cercano di soddisfare i desideri del mondo».

I lavori di restauro all’interno del complesso della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)
Foto Giancarlo Giojelli

Uno shopping della fede? Ognuno pesca quel che vuole dalla religione…

«È così! Hanno un approccio moralistico, non realistico. Sono cristiani solo di nome, non conoscono nulla della fede. Il Vangelo ci chiede di trasfigurare il mondo. Gesù non è venuto per i giusti ma per i peccatori. E la Chiesa condanna il peccato, non i peccatori. È il punto fondamentale: il cristianesimo non è un moralismo per i giusti. Oggi le nuove religioni sperimentano qualcosa di irrazionale, il ritorno del paganesimo che soddisfa i desideri e le passioni umane».

Ognuno cerca l’idolo che vuole…

«L’umanità era passata dal politeismo al monoteismo, e ora l’umanità adora la creazione e non adora il creatore».

I lavori di restauro all’interno del complesso della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)
Foto Giancarlo Giojelli

Si tende a ridurre il cristianesimo a un insieme di regole e di mode “corrette”

«È una globalizzazione della fede , l’introdurre nuove religioni umane e falsi dèi costruiti dall’uomo a propria immagine, come accadeva nella antica Grecia, dove si attribuivano le proprie debolezze a Dio. E abbiamo persone che adorano il diavolo, le star. Invece di adorare il creatore si adora la creazione. Si enfatizza il clima, la Terra… L’uomo che non crede in Dio crede alla fine in se stesso. La differenza tra la fede cristiana e quella non cristiana sta qui. I filosofi greci si basavano sulla loro capacità di pensare e speculare. Il cristianesimo invece si basa sulla Rivelazione. Dio rivela la verità, e questo basta. E quando il Logos greco incontra il Davar ebraico, la Parola dei profeti, i greci abbandonano la speculazione e trovano la verità nella Rivelazione. Ora nel mondo occidentale i cristiani seguono le invenzioni della mente umana che sono sottoposte alla corruzione, come ogni cosa umana. Ma quello che ci ha rivelato Dio è eterno. Dio stesso si rivela. La tragedia del mondo europeo e americano è l’aver messo da parte la religione, e molti giovani non ricevono una educazione religiosa, né in famiglia né a scuola, e le giovani generazioni crescono così. Senza speranza nel futuro. Quanti suicidi tra i giovani! Quanti crimini! E quanti sono preda delle ideologie e di false religioni, e in nome di queste commettono i loro crimini! In nome del Nulla!».

Le pietre del Sepolcro da restaurare sono un segno dell’attesa, della speranza di costruire insieme.

«Sì, perché quelle non sono solo pietre: sono connesse con il sangue di Gesù Cristo, viventi e tangibili testimoni della Crocifissione e del mistero della Resurrezione. Gesù dice nel Vangelo che le pietre grideranno!».

I lavori di restauro all’interno del complesso della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme (foto Giancarlo Giojelli)
Foto Giancarlo Giojelli

Lungo i muri della Basilica del Santo Sepolcro sono posate le pietre che sono state smontate, vengono da ogni angolo della Anastasi. Vengono da tutti i punti della grande chiesa che racchiude il Calvario e l’edicola della Resurrezione, da tutti i punti dove i cristiani delle diverse Chiese hanno pregato per secoli. Torneranno al loro posto, restaurate. Forse segno di una nuova e antica unità. Perché come diceva nell’Annuncio a Maria di Claudel il costruttore di cattedrali Pietro di Craon, «non alla pietra tocca fissare il suo posto, ma al Maestro dell’opera che l’ha scelta».

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