Passaggio a Smirne

Di Pietro Piccinini
18 Dicembre 2003
Da oltre mille anni in Turchia il cristianesimo è archeologia. Oggi nel paese di Ataturk, l’amicizia tra cristiani e musulmani rinasce. Nel nome dell’Europa

hi ha parlato di inevitabile “scontro di civiltà”? L’aria che si respira oggi a Izmir (Smirne), nel cuore della ipermusulmana Turchia (a Smirne i cristiani sono un migliaio su una popolazione di 4 milioni), ha il profumo della convivenza tra popoli di origini molto diverse. Popoli che in queste terre si sono amati e si sono odiati. Greci, turchi, curdi, armeni, musulmani e cristiani che per venti secoli hanno vissuto in simbiosi, prosperi in tempo di pace, in miseria quando furono messi gli uni contro gli altri armati, nell’onore e nell’eroismo quando sopportarono insieme la ferocia degli invasori.

Città di santi e scimitarre
«La città è stata costruita col fuoco, a colpi di scimitarra e di spada», racconta infervorato Atalay, grande appassionato di storia (probabilmente la sua passione bibliofila è una delle ragioni per cui, da turco non battezzato, Atalay è interessato ai missionari cristiani di Smirne: «Hanno le biblioteche migliori della città»), mentre la sua vecchia auto si inerpica faticosamente su per le viuzze del colle che sovrasta il centro. La meta dell’escursione all’interno del labirinto di Smirne è la cima, dove campeggia ancora il castello di Alessandro Magno del 330 a. C., i cui torrioni «quando è passato di qui Gengis Khan si sono riempiti delle teste di 60mila persone». La guida improvvisata indica sulla destra un agglomerato di case ammassate una sull’altra senza criterio alcuno. «Qui cominciava il circo romano dove nel 165 venne bruciato vivo Policarpo, terzo vescovo della città e discepolo di San Giovanni». Accanto al luogo del martirio, sopra la tomba del santo, una volta sorgeva una basilica a lui dedicata. «La basilica di San Policarpo l’ha buttata giù un terremoto nella seconda metà del secolo XIV. Venne ricostruita insieme al primo monastero dei cappuccini nel 1628 più in basso, nel cuore della città, dove si trovava il quartiere greco e armeno. Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale il quartiere divampò un enorme incendio che lo avvolse completamente. Quelli che tentavano di sfuggire alla furia del fuoco (greci e armeni), venivano abbattuti uno per uno dai turchi che si erano appostati appena fuori. Il quartiere bruciò interamente, compreso il monastero. Solo San Policarpo si salvò».

Dall’ex Urss a Izmir
Oggi il quartiere greco e armeno si distingue dal resto della città senza problemi perché è occupato dalla Fiera e da altri edifici moderni. Dopo aver scavalcato ancora qualche metro di case lungo la strada che costeggiava le gradinate del circo romano, Atalay sbotta: «Questo invece è il luogo esatto dell’uccisione di San Policarpo». Nel punto in cui indica però la selva di case si apre su una moschea. «È dedicata a Youssouf, un devoto musulmano cui ancora oggi viene erroneamente attribuito il martirio». Vista dai torrioni del castello in cima alla collina, Smirne sembra un enorme presepe. Gli sciami di casupole sono il mantello che ricopre le alture intorno alla città al posto del bosco. «A partire dal 1959, i turchi che riuscivano a uscire dai paesi comunisti dell’Est Europa sono ritornati in patria in massa. Hanno letteralmente invaso la Turchia occidentale ingigantendo in pochissimi anni molte città tra cui Smirne: una legge sanciva che per essere riconosciuti proprietari del terreno occupato, era loro sufficiente costruirci sopra un tetto in una notte, mentre ancora nessuna legge difendeva i siti archologici da eventuali abusi (la prima vera e propria regolamentazione in materia è del 1968). Per questo del circo romano è rimasta solo la conca: le pietre di cui era costituito l’antico edificio sono state utilizzate per costruire centinaia di “tetti in una notte”». Atalay conosce bene anche le rovine di Efeso. Meglio delle “guide professioniste» che all’ingresso si precipitano sui turisti offrendo per pochi milioni di lire turche segreti che nemmeno il direttore del museo conosce. Lungo le strade di marmo bianco punta deciso al grande teatro. Davvero davanti all’anfiteatro lo spettacolo toglie il respiro. «Immaginalo nel 54 d. C., le gradinate gremite. L’orafo Demetrio aizza la folla contro una figura vestita di bianco che impugna uno scettro. Solo per un soffio, con l’aiuto di un manipolo di seguaci, quest’omino scampa il linciaggio della mandria imbufalita. Qui hanno tentato di far fuori San Paolo per la prima volta».
Sempre a Efeso, ma fuori dalle rovine della città, Atalay ci tiene a far tappa alla basilica di San Giovanni, perché, insiste, «in Turchia si possono ancora rivivere i primi passi della Chiesa attraverso la storia del mondo». Della basilica rimane in piedi poco: è crollata per un terremoto, come quella di San Policarpo. Ma la tomba è ancora dietro la sua grata, nel luogo dove era stato posto anche l’altare maggiore. «Nel 1957 qui era ancora tutto un mucchio di macerie e la tomba era sepolta. Non si sapeva ancora se il corpo del santo fosse effettivamente al suo interno. Entrarono il vescovo, il suo aiutante per il rapporto e un archeologo. In quegli anni c’era ancora il dubbio che il Giovanni dell’Apocalisse non fosse anche l’Apostolo del Vangelo. Pensa che cosa hanno provato quelli della commissione quando, entrando nella tomba, hanno trovato una lastra di marmo con l’incisione “San Giovanni Apostolo e Telogo”».

La casa della vergine
La visita a Efeso termina al santuario di Meryem Ana, il santuario sul monte Bülbül Dag. La tradizione vuole che in questo luogo si fosse ritirata Maria al seguito di San Giovanni e che in questo luogo fosse stata assunta in cielo. La stagione non è quella del turismo, i visitatori non sono molti, ma anche adesso che tra di loro entrano, rispettosi, anche molti musulmani. «In tutta questa zona la devozione alla Madonna è diffusa sia tra i cristiani che tra i musulmani. A parte la basilica del Concilio di Efeso, che è la prima chiesa al mondo dedicata alla Madre di Dio, ci sono oltre 30 santuari che portano il suo nome. Pensa che Meryem Ana fu ritrovata e subito acquistata dai padri Lazzaristi francesi nel 1891, ma quando negli anni ’50 il governo turco ha cominciato ad espropriare i beni degli stranieri, fu un’associazione composta da cristiani e musulmani a prendersi a cuore il destino del santuario». Fa impressione entrare nella cappelletta costruita su quella che si suppone essere stata la camera di Maria pensando che fino al 1920, mentre il mondo non conservava quasi più alcuna memoria di quel luogo, uno sparuto gruppo di ortodossi di rito greco di un paesino nei paraggi aveva conservato l’usanza ereditata dalla tradizione di recarsi ogni anno un pellegrinaggio a Meryem Ana il 15 agosto, nel giorno dell’Assunzione per la Chiesa cattolica.

Natale islamo-cristiano
In Turchia la storia non ha certo smesso di scatenare a suo piacimento l’armonia e l’intolleranza che nei secoli hanno riportato alla luce o cancellato quasi completamente la presenza cristiana che ha cambiato la storia di questa terra, le testimonianze del suo passaggio. Si ha la netta sensazione che senza il sangue e il coraggio di chi ha dedicato e dedica la vita proprio allo scopo di difendere tale presenza, essa oggi sarebbe già stata dimenticata.
A sentire i cristiani della città però, un’apertura e una sincera curiosità come quelle che si sono diffuse negli ultimi anni nei confronti del cristianesimo, le comunità di Smirne non le avevano finora mai viste. Questa ventata di aria fresca secondo alcuni è da ricondurre all’intensificazione dei rapporti tra Bruxelles e Istanbul, «che rende molto concreta la nostra speranza di entrare in Europa». I turchi cristiani e quelli non cristiani che frequentano le chiese sono d’accordo nel constatare che oggi a Smirne «siamo ormai maturi. Non c’è più la paura che gli altri ci escludano dalla vita sociale per pregiudizio». Secondo i più anziani, che osservano questo cambiamento da più tempo, «la maggioranza della popolazione turca è ormai “per natura” europea, anche grazie al fatto che molti turchi hanno vissuto a lungo in Europa e conoscono bene l’Occidente». È vero che oggi in Turchia esistono ancora falangi islamiche estremiste che ordiscono attentati terroristici contro i simboli della presenza occidentale nel paese, ma è molto più significativo il fatto che in queste settimane i sabati dedicati al catechismo dei domenicani di Smirne siano frequentati soprattutto da turchi non cristiani. Se nel 1959 nel giorno di Natale a una ragazza veniva licenziata su due piedi solo perché si era fatta battezzare, oggi a Smirne il Natale musulmani e cristiani lo festeggiano insieme nel salone dei cappuccini di Bayrakli.

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