Pasqua di sangue, il terribile scadenzario del terrorismo

Di Caterina Giojelli
23 Aprile 2019
L'attentato in Sri Lanka segue l'orribile destino riservato da Isis a Kenya, Pakistan, Egitto. «L'antidoto al jihadismo non può essere una libertà religiosa di serie B». Parla il direttore di Acs

«Colpiscono i cristiani per colpire l’idea del dialogo. Per la gran parte degli europei le feste religiose segnano le vacanze in agenda, per il terrorismo il calendario liturgico è diventato uno scadenzario di attentati e azioni sanguinose». Alessandro Monteduro, direttore Acs Italia, oltre dieci anni al Ministero dell’Interno ad occuparsi di pubblica sicurezza, spiega a tempi.it che quella dello Sri Lanka è «un’altra Pasqua di sangue», che segue l’orribile destino che l’Isis riservò al Pakistan, dove il 27 marzo 2016 morirono più di 70 persone, tra cui molti bambini, e centinaia rimasero ferite in un attentato suicida in un parco affollato a Lahore, e all’Egitto, quando il 9 aprile 2017, durante la domenica delle Palme, due kamikaze fecero strage di cristiani copti in due chiese, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria, lasciando sul terreno almeno 47 morti e 126 feriti. «E non dimentichiamo le 148 vittime del Giovedì Santo di Garissa, in Kenya, quando il 2 aprile 2015, un commando di uomini armati appartenenti al gruppo terroristico al-Shabab, fece irruzione al Garissa University College sequestrando e trucidando, dopo averli suddivisi in file in base alla propria religione, ragazzi cristiani indifesi e disarmati». I fondamentalisti presero allora in ostaggio oltre 700 studenti, dividendoli tra musulmani e cristiani sulla base della loro capacità di rispondere ad alcune domante relative alla religione islamica. I cristiani vennero giustiziati senza pietà.

DOVE IL FONDAMENTALISMO DISTRUGGE

Pasqua di sangue, si colpiscono le Chiese, «perché colpendo le Chiese si colpisce la più grande comunità religiosa al mondo pacifica e pacificatrice. È inaccettabile per chi ha in odio una fede diversa dalla propria la presenza dei cristiani, senza i quali il dialogo sarebbe impossibile. Il cristiano ricostruisce dove il fondamentalismo distrugge: pensiamo solo all’Iraq, e a quanto sta facendo il cristianesimo per favorire il dialogo tra le grandi famiglie islamiche sciite e sunnite». Questa mattina il bilancio delle vittime in Sri Lanka è salito a 321, mentre i feriti sono oltre 500. In queste ore Isis ha rivendicato gli attacchi, senza tuttavia fornire prove del suo coinvolgimento diretto, in un comunicato pubblicato dalla sua agenzia di propaganda Amaq: lo riporta Site, organismo che monitora l’estremismo mondiale, mentre proseguono le indagini per individuare i responsabili della strage di Pasqua. Parlando di rappresaglia per gli attacchi contro le moschee in Nuova Zelanda il governo ha accusato un gruppo locale islamista, il National Thowheeth Jama’ath, manovrato da una regia internazionale.

FILIPPINE, JIHADISMO “IN FRANCHISING”

«Certo, l’organizzazione di un attentato così coordinato e diffuso richiama l’azione di gruppi organizzati e affiliati allo Stato islamico che nel nostro immaginario resta concentrato in Medio Oriente e invece negli ultimi anni sta vivendo un momento di emigrazione: nuovi gruppi si stanno componendo autonomamente in tutto il mondo. Il 27 gennaio, sull’isola di Jolo, nelle Filippine, i cristiani hanno subito un ennesimo attacco orribile ad opera degli estremisti islamici e separatisti di Abu Sayaf, affiliati a Daesh. “È successo durante la Santa Messa. La prima bomba è esplosa mentre i fedeli cantavano l’Alleluia, la seconda mentre le autorità rispondevano al fuoco”, ci ha raccontato monsignor Lito Lampon, vescovo emerito di Jolo e oggi arcivescovo di Cotabato. A Mindanao il radicalismo è proliferato con la nascita di nuovi movimenti. Nel 2017 la Cattedrale di St. Mary a Marawi è stata profanata e distrutta da terroristi islamici del gruppo Maute, affiliato ad Isis, che vi hanno fatto irruzione il 24 maggio, mettendo a ferro e a fuoco l’intera città, sequestrando l’ausiliare del vescovo e diverse decine di cristiani. E non parliamo di un villaggio, ma di una comunità di migliaia e migliaia di abitanti. Questo dovrebbe dare conto della logica con cui il terrorismo islamico in “franchising” sta rialzando la testa».

SANT’ANTONIO, SANTUARIO DI OGNI FEDE

Al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor Warnakulasuriya Devsritha Valence Mendis, vescovo di Chilaw ha parlato oggi di «attacchi brutali, atti di violenza inaudita», ma anche inaspettati: nel paese a maggioranza buddista, i cristiani rappresentano poco più del 9 per cento, lo stesso Santuario di Sant’Antonio, la chiesa cattolica più nota dello Sri Lanka, la prima colpita nella capitale Colombo, era «meta di pellegrinaggio per persone di ogni fede». Come denunciato anche nelle più recenti edizioni del Rapporto sulla Libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre, negli ultimi anni vi sono stati attacchi alle chiese da parte di gruppi fondamentalisti buddisti quali il Bodu Bala Sena e il Sinha Le. Stavolta però, a prescindere dalla rivendicazione dell’Isis, il modus operandi degli attentatori ha fatto subito pensare ad una matrice fondamentalista islamica. Le stesse autorità hanno ricevuto avvertimenti circa la possibilità di attacchi alle chiese da parte di combattenti Isis rientrati in Sri Lanka.

L’ESEMPIO VIVO DEI COPTI EGIZIANI

«Nonostante questo  – prosegue Monteduro – nonostante questo terribile crimine contro l’umanità, come ha affermato monsignor Mendis, i cristiani faranno fronte a tanto dolore con coraggio e fede. Continueranno a dialogare con i buddisti e con la minoranza islamica. Penso alla pienezza e la bellezza della fede dei copti d’Egitto che nonostante gli attentati, nonostante il terrore creato dall’azione dei gruppi fondamentalisti islamici, non hanno smesso di affollare i loro luoghi di preghiera. Anzi, li hanno avvicinati, come ci ha confermato il patriarca copto-ortodosso Papa Tawadros II visitando con noi le chiese attaccate dai fondamentalisti, meta di messe sempre più partecipate e di un grandissimo numero di pellegrini. La stessa unità, lo stesso dolore che ha nutrito una fede rendendola ancora più forte l’ho ritrovato in Pakistan o in Nigeria, esempi vivi per i cristiani di Europa».

DALLA PIANA DI NINIVE A PADRE HAMEL

Ma la persecuzione anticristiana non può restare argomento a scadenza sui giornali, la libertà religiosa un diritto di serie B da delegare alle sole organizzazioni di carità. «Sono curioso di aprire le pagine dei quotidiani domani e vedere che traccia resta delle aperture sulla Pasqua dello Sri Lanka. È ora di aiutare concretamente le minoranze religiose oppresse e non solo manifestare indignazione di facciata. È ora, come ho ribadito più volte appellandomi a un esempio concreto, di riportare i cristiani a Ninive». Dopo essere stato smantellato militarmente lo Stato Islamico, Acs aveva lanciato un vero e proprio piano Marshall per riportare la Piana di Ninive alla cristianità, per aiutare le famiglie cristiane a non abbandonare l’Iraq, cancellando secoli di presenza cristiana. «Senza un aiuto concreto da parte dei governi, delle organizzazioni sovranazionali e nazionali, non svilupperemo mai un antidoto all’estremismo islamico». Da sempre Acs reagisce alla barbarie: per onorare la memoria di padre Jacques Hamel, brutalmente sgozzato a Saint-Etienne-du Rouvray, il 26 luglio 2016, Acs aveva lanciato una campagna straordinaria per sostenere negli studi mille seminaristi in tutto il mondo. Dalla Colombia alla Bosnia-Erzegovina, da Cuba alla Nigeria, dall’India alla Romania, dall’Angola al Madagascar, sono in totale 21 le diocesi che hanno beneficiato di questo aiuto. «È questo il modo di reagire dei cristiani: rispondere all’uccisione di un solo sacerdote con la formazione di mille nuovi soldati della fede».

«UN DIRITTO DI SERIE A. OLTRE LA CRONACA»

Qualche segnale positivo c’è: nell’ultima legge di bilancio il governo italiano ha approvato l’istituzione di un Fondo per l’assistenza e l’aiuto alle minoranze cristiane perseguitate nelle aree di crisi: 2 milioni all’anno tra il 2019 e il 2021 e 4 milioni a regime dal 2022: «Si tratta di un segnale politicamente forte per le comunità sofferenti. Non si tratta di soli soldi, ma di sostenere una battaglia culturale e politica perché la difesa della libertà religiosa torni a essere un diritto di serie A. Oltre la cronaca».

Foto Ansa

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