
Paranoia Fact-Checking

Simpatici e arguti come chi telefona a scuola con il vecchio scherzone dell’allarme bomba per evitare il compito in classe, la verità ha i suoi nuovi profeti, i professionisti della balla, appunto. Un fatterello nella provincia di Atlantide del web aiuta a capire: il primo di aprile un signore chiamato Ermes Maiolica assurto agli onori della cronaca perché di professione saldatore a Terni ma soprattutto impenitente bufalaro (per capirci è un diffusore di panzane virali come quella relativa alla mega-offerta di 800mila auto regalate da Volkswagen nel giorno di San Valentino, oppure quella confezionata sotto le telecamere di Nemo di Agnese Renzi che vota no al referendum), decide con l’aiuto di una testata web e qualche amico giornalista di fingersi morto. Annuncia di essere in procinto di sottoporsi a un intervento chirurgico e poi, il 31 marzo, Giornalettismo dà il triste annuncio, «Credeva nella funzione educativa delle fake news. Ne creava alcune talmente assurde che paradossalmente, con la loro viralità, rivelavano l’animo più debole, credulone e disumano delle persone in rete» e scatena il derby tra scettici e affranti. Il primo aprile, giorno dell’omonimo pesce, Ermes torna in vita postando: «Un giorno moriremo tutti ma tutti gli altri giorni no», ed è subito pasqua di resurrezione e indignazione; «Certo che siete strani forte, siete a favore dell’eutanasia poi io invece non posso morire come e quando cazzo mi pare» è la risposta ai tanti che non hanno digerito lo scherzone. Il giorno dopo (un attimo ancora di pazienza) Giornalettismo spiega perché hanno fatto morire Ermes Maiolica: «Bisogna crescere. Gli utenti devono crescere e debunkare da soli. Devono avere la curiosità di verificare senza bisogno di un ddl che possa stabilire, con termini un po’ grotteschi, cosa sia vero o meno. Far morire una persona? Ma non è uno scherzo di dubbio gusto? E i commenti? Qui ci sono alcuni commenti veri su una morte reale, avvenuta qualche mese fa, in Italia. L’odio e il paradosso del virtuale dentro la vita reale è dietro l’angolo. In casa nostra. E nemmeno ci accorgiamo quanto può esser dannoso. Abbiamo deciso di far morire Ermes in vista della giornata del 2 aprile, il Fact-Checking day, perché è solo con la competenza vera e con i perché che ci possiamo salvare da noi stessi». Boom di like.
Va bene, direte voi che come noi vi siete chiesti chi diavolo è Ermes Maiolica e chi sono questi giornalisti, ognuno ha le sue perversioni e c’è chi ha quella di infilarsi a un amo per dimostrare quanti pesci cascano nella rete non solo ad aprile. Ma la morale dei questorini della rete, per favore no. E qui Ermes Maiolica c’entra poco o niente, perché questo nuovo hobby evangelico che porta ogni anima a scrivere la sua paginetta gnostica perché affiori il vero in un mare di castronerie è la prova evidente che una buona falange di lettori e mestieranti sul terrore di abboccare alle fake news se ne è andata alle cozze.
A qualche mese dall’adozione ufficiale del vocabolo post-verità, non si è infatti ancora capito se chi parla di fake news lo fa per amor di verità o se le fake news sono la scusa per parlare di se stessi. Si è capito però che, in un caso o nell’altro, le fake news sono diventate il pretesto di una nuova catechesi. Quella che si picca di ricondurre “l’asino che legge” lontano dal paese dei balocchi dove scorrazza libero fuori legge, appunto, controllo e sorveglianza. «Veramente vi credete di essere così stolti di aver bisogno di qualcuno che vi dica cosa è vero o no? Così sarete pur sempre vittime di altri tipi di disinformazione» è il testamento di Ermes, «Bisogna crescere», sentenziano i gran mogol di Giornalettismo dopo la “ragazzata”.
Ma certamente, l’importante è non diventare adulti. Se infatti Ermes si definisce «hacker dell’informazione» (per creare una bufala, spiegava ai microfoni di Nemo, devi «assecondare le paranoie delle persone, solo così diventi virale»), ci pare che la paranoia numero uno sia diventata appunto l’ansia da Fact-Checking. Che sembra aver bisogno delle bufale in modo strutturale come l’antiberlusconismo aveva bisogno di Berlusconi per trovare nel tempo una ragion d’essere permanente. Da Paola Cortellesi a Carlo Verdone a Francesco Totti, Laura Boldrini sta impegnando calciatori, attori e via dicendo nella sua battaglia-appello responsabile Bastabufale, contro appunto «le fabbriche di bufale a scopo commerciale o di propaganda politica e certo giornalismo “acchiappaclick”, più interessato a incrementare il numero dei lettori anziché a curare l’attendibilità delle fonti», primi firmatari Paolo Attivissimo, di professione giornalista informatico e cacciatore di bufale, e Michelangelo Coltelli, professione “debunker”, ovvero “demistificatore”. I giornali non sono da meno, nella giornata del Fact-Checking hanno aderito con grande enfasi alle iniziative dell’International Fact-Checking Network che ha sede al Poynter Institute, la prestigiosa scuola di giornalismo in Florida che ha deciso di mettere a disposizione per la giornata nata per rendere consapevoli gli utenti e spiegare loro come difendersi dalle notizie false una lezione sulle fake news in 10 lingue (italiano compreso) e un quiz. Sono presenti anche le 16 bufale più famose dell’ultimo periodo e un piccolo vademecum per imparare a scoprire le notizie false. Conferenze, seminari, meeting di esperti, discussioni pubbliche: anche in Italia ognuno ha fatto il suo per aiutare le sardine della rete a nuotare controcorrente e distinguere news e fake news, bambocciate e cose autorevoli, ami e anemoni.
Hegel diceva che «la preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico». Pregate tanto e bene allora perché la verità è che senza asini, cammelli e versetti della stampa piccoli catechisti e cristincroce di professione non avrebbero più tempo (e quindi lavoro) da perdere. Chi è senza paranoia, insomma, scagli la prima pietra.
Foto da Shutterstock
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