
L’instabilità del Pakistan è un rischio per tutto il mondo

La crisi in cui è piombato da almeno un anno il Pakistan difficilmente si risolverà con l’uscita di scena del premier Imran Khan e con la nomina, avvenuta lunedì, del leader dell’opposizione Shahbaz Sharif alla guida del governo, dopo che il 9 aprile il Parlamento ha sfiduciato il suo predecessore, al termine di una lunga disputa politica risolta da una sentenza della Corte suprema.
Un paese tra i meno sviluppati al mondo
I problemi interni del Pakistan sono cronici e in un momento di crisi globale come quella in atto potranno solo aumentare, con la Cina che già mira a influenzare le elezioni che si terranno nei prossimi sei mesi, polarizzando ulteriormente le posizioni. La destituzione del popolare Imran Khan ha spinto milioni di persone scendere in piazza per difendere l’ex campione di cricket salito al potere nel 2018, simbolo di un Pakistan che aveva guadagnato le elezioni dopo decenni di colpi di Stato, un premier assassinato e sette anni di regime militare.
Con oltre 220 milioni di abitanti, un indice di sviluppo tra i più bassi tra i paesi in via di sviluppo (154esimo su 189 paesi secondo dati Onu), il Pakistan è afflitto da problemi economici e politici cronici. Ad oggi nessun esecutivo ha mai terminato un mandato senza estromissioni con voti di sfiducia, o peggio con colpi di Stato. Nonostante queste condizioni che lo rendono per molti aspetti un paria tra i paesi dell’area, il Pakistan agisce fin dalla sua fondazione nel 1947 come una potenza regionale portatrice del messaggio “salvifico” dell’islam nell’Asia meridionale – dominata da induismo e buddhismo e dai residui dell’imperialismo Occidentale – sfruttando anche la sua posizione strategica tra l’Afghanistan a ovest, la Cina a nord-est e l’India a est.
La retorica antiamericana di Khan
L’instabilità in cui è nuovamente piombato rappresenta un rischio reale non solo per l’Asia, ma per il mondo. La defenestrazione di Khan, sfiduciato dal Parlamento per soli due voti, è collegata direttamente allo scontro in atto tra Stati Uniti, Russia e Cina, culminato con la guerra in Ucraina. Da quando è salito al potere nel 2018, la retorica di Khan è diventata più antiamericana, lasciando trasparire il desiderio di avvicinarsi alla Cina e, di recente, alla Russia: Khan ha tenuto colloqui con il presidente Vladimir Putin proprio il 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
Lo stesso Khan ha accusato direttamente Washington di volere la sua uscita di scena, denunciando una “cospirazione” contro la sua politica filocinese e filorussa. Tale posizione gli è valsa il sostegno ovviamente di Cina, Russia e del vicino Iran che in Khan aveva visto un potente alleato, dotato di atomica, per difendere le sue rivendicazioni di potenza regionale.
La Cina è sempre più vicina
Nonostante la storica alleanza strategica con gli Stati Uniti (il Pakistan è uno degli alleati non Nato di Washington), negli ultimi anni il governo di Islamabad si è spostato sempre di più verso Pechino per ragioni soprattutto economiche e di convenienza. Durante il suo governo Khan ha costantemente sottolineato il ruolo positivo della Cina in Pakistan e nel mondo in generale, postura che resterà e forse si rafforzerà ulteriormente con il nuovo premier Sharif.
Pechino vanta circa 11 miliardi di dollari di progetti infrastrutturali sviluppati dal governo pakistano che saranno finanziati a un tasso di interesse dell’1,6 per cento, dopo che il Pakistan ha esercitato con successo pressioni sul governo cinese per ridurre i tassi di interesse dall’iniziale 3 per cento. Il corridoio economico Cina-Pakistan del valore di 60 miliardi di dollari che unisce i vicini, è stato concepito e lanciato per volontà dei due partiti politici affermati del Pakistan, che probabilmente condivideranno il potere nel nuovo governo.
Il Pakistan tra Afghanistan e Qatar
Durante il governo di Khan si è consumata la grande “sconfitta” occidentale in Afghanistan, con i talebani ritornati al potere a Kabul dopo 20 anni, grazie all’appoggio di Pakistan e Cina. Tuttavia, i problemi interni di Islamabad hanno spinto i nuovi governanti di Kabul a raffreddare i rapporti con lo storico alleato, guardando anzitutto al ricco Qatar. Il risultato di una politica di ritorno dei talebani che però non è seguita a un loro vero controllo sul campo si è tradotto in tensioni tra il gruppo islamista e l’esercito di Islamabad, che ha perso diversi militari in questi mesi in attacchi sul confine.
Vale la pena di esaminare brevemente le ragioni che hanno portato a questa crisi. La fine politica dell’ex primo ministro è radicata in due nuove realtà gemelle. All’interno del Parlamento, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti) di Khan aveva perso il sostegno degli alleati della coalizione, facendo venir meno la maggioranza di cui il premier aveva bisogno per uscire indenne dal voto di sfiducia. Fuori dal Parlamento, Khan ha perso il sostegno del potente esercito pakistano, che secondo l’opposizione lo aveva aiutato a vincere le elezioni generali del 2018. Alla base delle frizioni tra Khan e i vertici militari l’assegnazione di incarichi di alto livello e decisioni politiche non in linea con gli interessi delle Forze armate.
Le accuse di Khan agli Stati Uniti
A ottobre, le ribollenti tensioni tra esercito e governo sono esplose dopo che Khan ha cercato di mantenere il generale Faiz Hameed alla guida dell’intelligence militare, rifiutando il candidato indicato dalle Forze armate, Nadeem Anjum, nominato nuovo direttore generale dell’Inter-Services Intelligence. Il secondo mandato del capo di Stato maggiore, Qamar Javed Bajwa, terminerà a novembre, con il generale Faiz Hameed che è considerato uno dei papabili successori. Nonostante le divergenze, i militari hanno comunque appoggiato la visita a Mosca di Khan, ma la crisi in Ucraina e l’insorgere di nuovi scenari, soprattutto sul fronte economico, li avrebbero spinti a mantenere una posizione neutrale nello scontro politico interno, negando l’appoggio a Khan per evitare una crisi più profonda.
Khan ha accusato pubblicamente gli Stati Uniti e i militari di averlo “punito” per il suo viaggio in Russia e il 27 marzo ha sventolato una lettera in una manifestazione pubblica a Islamabad, sostenendo che gli Stati Uniti avevano lanciato un avvertimento diplomatico al Pakistan per rimuoverlo dalla carica di primo ministro. La missiva diplomatica, la presunta minaccia degli Stati Uniti e l’affermazione di Khan secondo cui la sfiducia faceva parte di una cospirazione guidata dagli Stati Uniti hanno sconvolto la politica e le relazioni civili-militari del Pakistan portando alla crisi attuale.
Il peso della crisi economica
A pesare sulla fine anticipata di Khan anche la forte crisi economica. A febbraio, mentre cresceva lo slancio dell’opposizione contro Khan, il primo ministro ha annunciato un taglio dei prezzi interni del carburante e dell’elettricità nonostante gli aumenti a livello globale, impegnandosi a congelarli fino alla fine dell’anno fiscale a giugno. La decisione ha aumentato il deficit fiscale e il deficit nella bilancia dei pagamenti. La scorsa settimana la rupia è scesa ai minimi storici rispetto al dollaro e la State Bank of Pakistan ha aumentato drasticamente i tassi di interesse in una riunione di emergenza.
Se sul piano istituzionale e politico Khan ha perso il suo consenso, mantiene però l’appoggio di una parte della popolazione. Nei giorni scorsi centinaia di migliaia di suoi sostenitori si sono riversati nelle strade di tutto il Pakistan, manifestando contro quello che molti definiscono un colpo di Stato. Dopo la sfiducia dell’Assemblea nazionale, Khan ha chiesto ai suoi sostenitori di scendere in piazza, in particolare ai giovani che costituiscono la spina dorsale della sua base. Nella città portuale di Karachi, nel Mar Arabico meridionale, più di 20 mila persone hanno gridato slogan che promettevano il ritorno al potere di Khan. Nella capitale Islamabad, altre centinaia di persone hanno manifestato il 10 aprile a sostegno di Khan.
L’amicizia di Sharif con la Cina
Tutti gli occhi sono puntati ora sul successore di Khan, Shahbaz Sharif, il fratello minore del tre volte premier Nawaz Sharif, fuggito in esilio in Arabia Saudita dopo la sua caduta legata alle accuse di corruzione nel 2017. Il nuovo premier ha stretto accordi con la Cina direttamente come primo ministro della provincia orientale del Punjab, e il suo obiettivo sarà quello di far decollare i grandi progetti infrastrutturali che potrebbero valere il sostegno della Cina a una sua riconferma tra sei mesi. Seppur debole, il governo di Sharif potrebbe condurre a una distensione almeno momentanea con la vicina India, contro la quale Islamabad ha combattuto ben tre guerre, due delle quali nel territorio conteso a maggioranza musulmana del Kashmir.
Le tensioni lungo il confine de facto in Kashmir sono ai livelli più bassi dal 2021, grazie a un cessate il fuoco. Citato dal quotidiano britannico The Guardian, Karan Thapar, un commentatore politico indiano che ha seguito da vicino le relazioni tra India e Pakistan, ha affermato che l’esercito di Islamabad potrebbe fare pressioni sul nuovo governo di Islamabad per costruire sul cessate il fuoco riuscito nel Kashmir. Il potente capo dell’esercito pakistano, il generale Bajwa, ha affermato di recente che il suo paese è pronto ad andare avanti nel Kashmir se l’India è d’accordo. Da notare che la dinastia Sharif è stata in prima linea in diverse aperture nei confronti dell’India durante gli anni di governo di Nawaz.
Le sfide per il nuovo premier del Pakistan
Classe 1951 e presidente della Lega musulmana del Pakistan (Pml-N), il movimento politico di orientamento conservatore e liberale fondato dal fratello Nawaz, Shahbaz Sharif ha guidato l’opposizione dall’agosto del 2018 e prima ha servito per per ben tre volte come primo ministro della regione del Punjab, la più popolosa delle province pakistane. Sharif fa parte di una delle famiglie più potenti del paese. Sua nipote Maryam è l’attuale vicepresidente del Pml-N, ed è da molti considerata un astro nascente della politica nazionale. L’ascesa in politica di Shahbaz Sharif, nonostante non sia considerato da molti analisti un leader, si deve in particolare all’appoggio Bilawal Bhutto Zardari, leader del Partito popolare pachistano (Ppp), esponente di spicco di un’altra delle dinastie che hanno dominato la vita politica del paese negli ultimi anni.
Come sottolineato dal quotidiano pachistano in lingua inglese The Dawn, la salita al potere di Sharif non significa la risoluzione del problema, anzi potrebbe comportare nuovi disordini politici e sociali. Infatti, nonostante l’appoggio del Parlamento, la coalizione di governo è composta da una compagine molto eterogenea di partiti con obiettivi politici ed economici spesso contrastanti e non è detto che resterà unita fino alle elezioni. Con il partito di Khan, il Pakistan Tehreek-e-Insaf, momentaneamente fuori dai giochi e impegnato a esercitare una forte pressione pubblica sui suoi successori per le elezioni anticipate, il nuovo governo potrebbe avere vita breve.
Tra le sfide del nuovo esecutivo vi è anzitutto la drammatica situazione economica con inflazione a doppia cifra, perdita di posti di lavoro e paesi partner restii a investire a causa della nuova crisi politica. L’aumento dei prezzi internazionali delle materie prime, in particolare dei generi alimentari e del greggio, sta esercitando ulteriori pressioni sull’economia cronicamente fragile e dipendente dalle importazioni.
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