
Pakistan, denunciato studente per blasfemia. Mons. Saldanha: «Non condannate il Pakistan»
Mentre rimane ancora incerta la sorte della cristiana Asia Bibi, uno studente di appena 17 anni è stato incarcerato con l’accusa di aver profanato in un compito scritto il nome del profeta Maometto.
A denunciare Muhammad Samiullah, il ragazzo rinchiuso nel carcere di Karachi dal 28 gennaio scorso, uno dei suoi professori, incaricato di correggere il compito scritto. Human Rights Watch si è rivolta al governo pakistano, chiedendo l’immediato rilascio del ragazzo. Bede Sheppard, ricercatore di Hrw, ha dichiarato che «spedire in galera uno studente per qualcosa che ha scarabocchiato in uno scritto d’esame è davvero spaventoso, per quanto usuale».
Intanto Sherry Rehman, esponente del Pakistan People’s Party (Ppp), dopo essere stata minacciata di morte dai fondamentalisti islamici per aver proposto una revisione della controversa norma sulla blasfemia, ha ritirato le sue proposte e ha deciso di seguire la linea del Ppp e del premier Gilani, che chiude la porta ad ogni discussione di modifica della legge.
Lo scorso anno aveva proposto l’eliminazione della pena di morte dalla Sezione 295-C del Codice penale (inerente la blasfemia), scatenando le ire degli estremisti che hanno lanciato una fatwa nei suoi confronti. Sherry Rehman ha spiegato che la proposta di emendamento era volta a «prevenire abusi» nell’applicazione della legge.
Rimane stazionaria la situazione di Asia Bibi. Le autorità del carcere non hanno ancora autorizzato il trasferimento della donna cristiana nel carcere femminile di Multan. La Masihi Foundation continua a battersi per un processo a porte chiuse, per le minacce dei fondamentalisti islamici che vogliono morta la 45enne cristiana. Ashaiq Masih, marito di Asia, ringrazia gli attivisti perché «si sono occupati di ogni dettaglio del caso» e rappresentano «una raggio di speranza».
Sul caso di Asia Bibi, monsignor Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore ha lanciato un appello alla moderazione, raccomandando ai paesi occidentali di non condannare direttamente il Pakistan in quanto Stato, perché questo «non produrrebbe nessun risultato positivo».
Interpellato dall’agenzia Eglises d’Asia, il prelato ha affermato che è necessario che l’opinione pubblica in Pakistan si dimentichi della donna cristiana. Questo permetterebbe all’Alta Corte di giustizia di esaminare in tutta serenità il caso e di scarcerarla.
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