
Pakistan: 200 cristiani condannati a morte (basta un sms “blasfemo”)

Articolo tratto dall’Osservatore romano – «La vita per le minoranze religiose in Pakistan è segnata da violenze, discriminazioni, abusi dei diritti umani fondamentali. È una questione antica ed è un problema sistemico che ha radici storiche e tocca la mentalità e la cultura diffuse. Il governo dovrebbe prenderne piena coscienza e agire di conseguenza, per tutelare i cittadini pakistani non musulmani e promuovere lo stato di diritto, la giustizia e la libertà»: è l’appello accorato, consegnato in un colloquio con «L’Osservatore Romano», dall’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, trentottenne attivista dei diritti umani e difensore di numerosi cristiani coinvolti, loro malgrado, in processi giudiziari che li vedono come imputati, del tutto innocenti, nei tribunali pakistani. La circostanziata denuncia di Gill arriva in vista della Giornata nazionale dedicata alle minoranze religiose in Pakistan, celebrata l’11 agosto di ogni anno, e si rivolge all’esecutivo guidato da Imran Khan, il primo ministro da un anno al vertice del Paese.
Come persona impegnata e attiva nel sistema giudiziario, ma anche come responsabile della ong Legal Evangelical Association Development, l’avvocato, che opera prevalentemente a Lahore, capitale del Punjab pakistano, rileva che «non si tratta di casi isolati: le statistiche dicono che le violenza sui cristiani e gli episodi di intolleranza sono in aumento in Pakistan. Basta guardare le cronache. E se qualcuno sostiene che si tratta solo di singoli incidenti senza importanza, è miope o complice e sta coprendo patenti ingiustizie. Molte famiglie oggi soffrono solo a causa della loro fede cristiana».
La giornata dedicata alle minoranze, allora, «serve proprio a ricordare che cittadini cristiani, indù o di altre religioni non sono cittadini di seconda classe, non devono essere discriminati o, nel peggiore dei casi, perseguitati impunemente — ricorda — ma hanno i medesimi diritti e doveri , devono godere di pari opportunità e vivere in Pakistan una vita serena, all’insegna di libertà, giustizia e benessere». E mentre l’esecutivo di Imran Khan può vantare, nel primo anno di governo, dichiarazioni di principio e successi nel promuovere i diritti e l’uguaglianza delle minoranze religiose (si pensi alla positiva conclusione del caso della cristiana Asia Bibi, assolta definitivamente dalla ingiusta condanna a morte per blasfemia e poi espatriata), «l’emergenza per la difesa delle minoranze non è cessata: abbiamo bisogno del supporto di organizzazioni internazionali, nonché di una indagine Onu che possa fare luce sulla situazione, rispondendo alle preoccupazioni sul mancato rispetto della libertà religiosa», afferma il legale.
Il cahier de doléances è lungo e parte nel ricordare «le vite di innocenti che languono nel braccio della morte nelle carceri pakistane» oppure di quanti, accusati falsamente, «stanno attraversando un lungo calvario giudiziario, che segnerà per sempre la loro esistenza» con la prigione, la perdita del lavoro e della casa o l’obbligo di vivere nel nascondimento per sfuggire alle esecuzioni sommarie. Gill, citando dati delle ong, si riferisce ai 200 cristiani condannati a morte ingiustamente (40 dei quali nel braccio della morte, in attesa di esecuzione) in base alla nota “legge di blasfemia”, che punisce il vilipendio all’islam o al profeta Maometto. La normativa, nel codice penale pakistano, viene però troppo spesso tirata in ballo in modo strumentale per liberarsi di avversari in dispute che non hanno nulla a che vedere con la religione.
Tra i casi elencati, raccontati dalle cronache più recenti, quello dei coniugi cristiani Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar (in foto), genitori di quattro figli, condannati a morte nel 2014 per l’assurda accusa di aver inviato sms blasfemi. «L’uso improprio della legge di blasfemia resta una piaga nella società che le istituzioni dovrebbero sanare e che non può passare sotto silenzio in una nazione che riconosce, nella giornata loro dedicata, il ruolo e il contributo delle minoranze religiose», nota l’avvocato Gill.
«La vita di un cristiano o di un indù sembra valere ben poco, e lo Stato non fa abbastanza per smentire o contrastare questa mentalità», osserva, ricordando il recente caso del ragazzo cristiano Bilal Masih, percosso a morte dai suoi datori di lavoro musulmani per futili motivi di un debito di entità risibile. O come rivela il caso di Saima Sardar, infermiera cristiana che ha rifiutato di convertirsi all’islam e di sposare un uomo musulmano e per questo è stata uccisa di recente a Faisalabad.
Quello dei rapimenti e delle conversioni religiose forzate «è un tasto dolente ed è una ferita aperta nella società, che continua a sanguinare».
Secondo i dati raccolti da fonti dell’agenzia Fides in Pakistan, il fenomeno delle conversioni forzate tocca ogni anno oltre mille ragazze indù e cristiane, ma questi sono solo i casi denunciati, ovvero la punta di un iceberg che naviga indisturbato nella nazione. Nelle scorse settimane il parlamento della provincia del Sindh ha adottato una risoluzione chiedendo che «questa pratica venga fermata e che si intraprendano azioni contro le persone coinvolte» ma, secondo l’avvocato Gill, «è necessario, per arginare seriamente il grave fenomeno, emanare una legge federale anti-conversione che tuteli esplicitamente la libertà di coscienza e di fede e punisca ogni abuso». Anche perché, riferisce l’avvocato, quando il caso di una ragazza rapita e convertita con la forza approda in tribunale «non è affatto raro che l’esito del processo sia, paradossalmente, in favore degli autori delle violenze piuttosto che delle vittime», il che significa porre una pietra tombale sulle speranze di genitori che vedono le loro figlie adolescenti strappate con la forza al calore familiare. Inquietante risulta anche, rileva Gill, «la tratta di esseri umani che coinvolge ragazze cristiane che, attratte con l’inganno, finiscono in Cina per allietare ricchi uomini d’affari», pratica accertata e denunciata nei mesi corsi, riguardante soprattutto ragazze cristiane.
In tale quadro si è alzata la voce della commissione giustizia e pace dei vescovi cattolici del Pakistan, invocando «misure urgenti per garantire la sicurezza delle minoranze, secondo la Costituzione del Pakistan» e l’applicazione della sentenza emessa già nel 2014 dalla Corte suprema in cui si ordina all’esecutivo di «promuovere e proteggere i diritti legittimi delle minoranze religiose», e chiedendo l’attuazione del Piano di azione nazionale per i diritti umani.
«Le minoranze religiose — d’altro canto — non devono ghettizzarsi o procedere separatamente nella società, poiché ne sono parte integrante: solo così potranno vedere tutelati i loro diritti fondamentali», osserva l’avvocato che, in occasione della Giornata nazionale per le minoranze religiose, invita a ricordare «il prezioso contributo dato al Pakistan, tanto al momento della sua nascita quanto oggi, da membri delle minoranze: i cristiani come il giudice A. R. Cornelius e il maestro Fazal Elahi erano stretti collaboratori di Muhammad Ali Jinnah, il padre della patria». E, nella bandiera del Pakistan, la presenza di una banda bianca rappresenta i cittadini non islamici che, secondo Jinnah, «dovrebbero avere pieni diritti di cittadinanza». Cristiani e indù, afferma Gill, «sono veri patrioti, che amano e sono pronti a dare la vita per la nazione. Oggi siamo chiamati a lavorare insieme per la prosperità del nostro amato Paese», nota.
In conclusione il legale fa eco e sposa le parole del mufti Syed Ashiq Hussain, noto leader musulmano che in passato ha dichiarato profeticamente: «Non voglio parlare del Paese in termini di minoranza o maggioranza. Siamo un’unica nazione e siamo tutti pakistani. La società è come una famiglia».
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