
Padre Popieluszko, il leone docile

Quando la sera del 30 ottobre 1984 la notizia del ritrovamento del corpo di padre Jerzy Popieluszko nelle acque della Vistola giunse alla parrocchia di san Stanislao Kostka proprio mentre si celebrava una Messa solenne, centinaia di fedeli presero a gridare e a singhiozzare fra le navate della chiesa. Riportarono un po’ di compostezza le parole pronunciate al microfono dal padre pallottino Feliks Folejewski: «Gente, ci rendiamo conto di quanto è successo? Stiamo vivendo un evento storico. Abbiamo un martire, un nuovo santo. Ringraziamo Dio e preghiamo affinché noi sopportiamo questa separazione coraggiosamente».
Quattro giorni dopo quasi un milione di polacchi partecipavano al funerale del sacerdote che ogni settimana celebrava, nonostante la legge marziale in vigore dal 13 dicembre 1981, le Messe “per la Patria e per coloro che per essa soffrono maggiormente” davanti a decine di migliaia di persone radunate all’esterno della chiesa parrocchiale, troppo piccola per quella folla.
Il primo prete assassinato
Diciannove sacerdoti sono stati assassinati in Polonia negli anni del comunismo, ma solo per Popieluszko la commozione e l’indignazione popolare hanno raggiunto una tale intensità da mettere il regime sulla difensiva; furono un centinaio gli omicidi politici riconducibili al potere comunista compiuti per tutti gli anni Ottanta a partire dalla proclamazione dello stato d’assedio da parte del generale Jaruzelski, ma soltanto nel caso del cappellano degli operai delle acciaierie di Varsavia furono portati alla sbarra e condannati a pene detentive quattro agenti e ufficiali dei servizi di sicurezza. Il 6 giugno 2010 don Jerzy Popiełuszko è stato il primo prete polacco assassinato dai comunisti proclamato beato dalla Chiesa, e a 23 milioni ammontano i visitatori della sua tomba dal giorno dell’inumazione a oggi.

A cosa si deve tanta eccezionalità? Cerca di spiegarlo Jerzy Popieluszko. Martire del comunismo, un libro scritto da due giornalisti polacchi, Grzegorz Górny e Włodzimierz Rędzioch, tradotto e pubblicato ora in Italia da Ares. Il primo dei due autori racconta lo scenario storico in cui si svolge la vita del beato martire, l’altro è autore di una decina di interviste a persone che ebbero rapporti diretti o indiretti con don Jerzy, collaboratori o personalità polacche. Preziose foto in bianco e nero ripercorrono sia la vita del sacerdote che gli avvenimenti storici del periodo.
Coraggioso e dolce
Il ritratto del martire che esce dalle pagine è quello di un pastore dolce e semplice, poco appariscente, sempre disponibile ad ascoltare e ad aiutare, ma dotato di un coraggio da leone e di una risolutezza fuori dal comune. Minacciato dalla direttrice della scuola che il suo voto in condotta sarebbe stato negativo perché partecipava alle funzioni religiose prima di entrare in classe, Popieluszko ragazzo continuava imperterrito a servire Messa. Seminarista, fu inviato a fare il servizio militare in uno dei tre reparti dell’esercito nei quali gli aspiranti preti venivano maltrattati e umiliati per dissuaderli dal seguire la vocazione. Resistette a tutte le punizioni, persino rifiutandosi di obbedire all’ordine di togliersi il rosario da dito che aveva sempre con sé. Ma tornò a casa minato nel fisico, e da allora ebbe sempre problemi di salute.

Benché originario del Nord-Est del paese, fu incardinato nell’arcidiocesi di Varsavia, nel cui seminario era entrato per la sua grande ammirazione nei confronti del primate di Polonia, il cardinale Stefan Wyszyński. Qui fu incaricato della pastorale universitaria e divenne cappellano diocesano del personale medico, mentre veniva spostato in diverse parrocchie, non sempre ben tollerato dai parroci. Infine nel maggio 1980 fu assegnato alla parrocchia di san Stanislao Kostka nel quartiere di Zoliborz, come assistente del parroco.
Messe per la patria
Nell’estate di quell’anno iniziò l’epopea di Solidarnosc, il primo sindacato indipendente in un paese comunista, che nacque nei cantieri navali Lenin a Danzica, guidò uno storico sciopero e si trasformò nel catalizzatore di un grande movimento di trasformazione politica e sociale della Polonia. Fu proprio il parroco, don Teofil Bogucki, a iniziare le Messe per la patria nell’ottobre di quell’anno, col motto “Dio, patria, onore”.

All’inizio del 1982 decise di affidarle a padre Popieluszko. Costui nel frattempo si era già coinvolto con Solidarnosc: chiamato dagli operai, aveva celebrato la prima Messa di sempre alla acciaierie Huta Warszawa, svolto servizio pastorale al primo congresso nazionale di Solidarnosc, aiutato spiritualmente e materialmente gli studenti in sciopero nell’Accademia superiore dei Vigili del fuoco a Varsavia, ed era uno degli organizzatori del Comitato del Primate per l’assistenza alle persone private della libertà e alle loro famiglie.
Affidate a lui, le Messe per la patria (“e per coloro che per essa soffrono maggiormente”, dizione aggiunta dopo il 13 dicembre ’81) divennero la celebrazione eucaristica più frequentata di tutta la Polonia. La diffusione di inviti in tutta la città, la scenografia curata, la partecipazione di poeti e artisti che leggevano poesie della tradizione patriottica polacca, le brevi ma affascinanti omelie di don Jerzy radunarono in poche settimane decine di migliaia di persone alla Messa, che non poté più essere celebrata all’interno della chiesa, ma da un balcone sulla facciata della stessa.
Vincere il male con il bene
Le autorità accusarono Popieluszko di essere un prete che faceva politica, e cominciarono a perseguitarlo sia apertamente, con perquisizioni e interrogatori, che clandestinamente, con minacce di morte anonime e tentativi di fargli del male (sabotaggi all’automobile, lancio di materiale esplosivo contro la sua finestra, eccetera). Fino al rapimento e alla tragica morte il 19 ottobre 1984 per mano di agenti dell’Sb, il Servizio di sicurezza.
Perché proprio lui, in una Polonia in piena agitazione politica? Spiega Janus Kotanski, uno dei suoi biografi:
«Ho studiato tutte le omelie di don Jerzy, tutto quello che ha scritto, e posso confermare che non ha mai attaccato nessuno personalmente. Neppure Jerzy Urban [il portavoce del governo, ndr], che lo insultava, o Jaruzelski, o Kiszczak, il capo del Msw [ministero degli Interni, ndr]. Attaccava i peccati, non i peccatori. E anche in questo era unico, era meraviglioso, e questo attraeva a lui migliaia di persone. Non odiava, provava soltanto amore, una cosa estremamente difficile in quegli anni bui: tra le vittime e l’emigrazione di massa, tra la propaganda che insultava e mentiva e la povertà reale e crescente della Polonia. In questo contesto ecco un sacerdote che dice la verità, che chiama le cose con il loro nome, però non predica odio, ma soltanto amore. Vincere il male con il bene: questo è il suo messaggio, il messaggio di san Paolo. Quindi, dapprima arrivarono centinaia, poi migliaia e decine di migliaia di persone, giunte dall’intera Polonia per assistere a queste Messe. Ed è qui che il potere inizia a innervosirsi».
Popieluszko invitava ad aiutare i perseguitati senza odiare i persecutori. Si racconta delle sue parole di comprensione per le spie («continuava a dire che, per le spie, era il loro lavoro»), d’inverno offriva tè e dolci agli Zomo, i reparti antisommossa.
Con Giovanni Paolo II
Le sue omelie erano ricche di citazioni di Giovani Paolo II e del cardinale Wyszyński su contenuti di dottrina sociale della Chiesa. Diceva:
«Solidarność ha chiesto molto più che il pane quotidiano: la giustizia. Fonte della giustizia è Dio stesso, ma l’uomo giusto è colui che si lascia guidare dalla verità e dall’amore, poiché più verità e amore ci sono in una persona, più giustizia c’è in essa. Dove c’è mancanza di amore, di bontà, di verità, di perdono, ivi trovano posto l’odio, la menzogna e la violenza. Da qui tanto dolorosamente si sente e si vede l’ingiustizia nei paesi dove la norma non si basa sul servizio e sull’amore, ma sulla violenza e sulla schiavitù. Fare giustizia e chiedere giustizia è dovere di tutti, nessuno escluso».
Preoccupato per la sua sicurezza, il cardinale Jozef Glemp, successore di Wyszyński, cercò di convincerlo ad allontanarsi dalla Polonia, ma non giunse ad ordinarglielo. Un’intervista al cardinale Stanislaw Dziwisz, già segretario di Giovani Paolo II, contenuta nel libro, smentisce le interpretazioni secondo le quali l’operato del sacerdote polacco non era ben visto in Vaticano. Giovanni Paolo II fece avere a Popieluszko un rosario. Spiega Dziwisz:
«Voleva che don Jerzy sapesse che il Papa era con lui, che entrambi avevano la stessa preoccupazione per l’uomo e la sua libertà, che insieme combattevano per i diritti della persona umana e i diritti dei lavoratori. Il Papa seguiva da vicino la situazione in Polonia, non poteva quindi non interessarsi della figura di don Jerzy, che chiaramente spiccava come difensore dei diritti dei lavoratori».
Subito dopo l’assassinio del sacerdote polacco, in Italia Cseo pubblicò una raccolta di sue omelie sotto il titolo Omelie per la patria. Nelle nostre sale cinematografiche sono arrivati due film: Un prete da uccidere (1988) di Agnieszka Holland, e Popieluszko. Non si può uccidere la speranza (2009) di Rafal Wieczynski.
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