
Pace in Terra Santa, le occasioni e l’occasione

GERUSALEMME. Gli accordi di Oslo, nel 1993, sembravano aver aperto la strada della pace: terre (Cisgiordania e Gaza) per i palestinesi, sia pure a sovranità limitata ma con la prospettiva di un futuro Stato, in cambio della rinuncia da parte dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, di distruggere lo Stato di Israele (o meglio, l'”Entità sionista”, come era stato chiamato fino ad allora e come viene chiamato tuttora dalle fazioni palestinesi).
Una strada per la pace che aveva grandi ambizioni: due anni dopo, durante un’intervista, Yasser Arafat mi mostrò i progetti per Gaza dove sarebbero affluiti soldi da tutto il mondo: una Montecarlo araba.
La Grande Occasione durò poco, ad ucciderla fu l’odio degli estremisti.
Nessun perdono, solo rabbia
Il presidente israeliano Yitzhak Rabin fu assassinato a Tel Aviv da un ultranazionalista, vicino ai movimenti da cui poi nacquero i due partiti, Sionismo religioso e Orgoglio giudaico, che ora sostengono il governo Netanyahu. Arafat fu costretto a lasciare Gaza, dove Hamas aveva preso il controllo, e la Palestina fu divisa in due geograficamente e politicamente: la Cisgiordania sotto il debole governo di Fatah, disponibile al dialogo con Israele ma incapace di controllare le milizie islamiche nei campi profughi, Gaza sotto il pugno di ferro di Hamas. Poi le Intifada, le rivolte e gli attentati, i kamikaze, le stragi di civili, mentre Israele moltiplicava gli insediamenti in Cisgiordania. E il pericolo a Nord, dal Libano, con Hezbollah fomentato dall’Iran.
Israele ha agito cercando di contenere il terrorismo estremista palestinese e stringendo accordi con gli Stati arabi. E ha mantenuto una linea di dialogo con l’Olp in Cisgiordania: in sostanza, l’idea è sempre stata quella di limitare il conflitto, ma senza dismettere la politica degli insediamenti.
Nel corso del suo viaggio giubilare nel 2000 in Terra Santa, san Giovanni Paolo II ammonì: non ci sarà pace senza perdono. Invece nel secondo millennio sono stati eretti muri materiali e muri morali, muri di odio. Non “perdono”, ma “rabbia” è stata la parola che ha educato le nuove generazioni.

Solo soluzioni parziali
Ora l’occasione per cercare un accordo con tutti gli Stati arabi per dare una terra ai palestinesi e garantire la pace e la sicurezza ad Israele appare chiusa in un vicolo cieco. Hamas potrà uscire sconfitta dalla guerra di Gaza, ma non rinuncerà certo alla sua “ragione sociale”: l’annientamento di Israele. L’Iran, che non è arabo e pur essendo il faro del fondamentalismo sciita sostiene i sunniti di Hamas, resterà un pericolo e una minaccia per ogni processo di pace. Di questo Israele è convinto, semplicemente perché questo Iran, Hezbollah e Hamas hanno sempre detto e ripetuto. Perché si formi un vero Stato palestinese occorre che le milizie terroristiche (sono 14, non c’è solo Hamas) consegnino le armi e riconoscano un’autorità politica e militare dalla quale però devono essere escluse. Impensabile: il 7 ottobre ha segnato la fine di ogni sogno di dialogo. Nessuno dei due popoli sembra credere ai possibili due Stati, almeno alle condizioni attuali.
Gli ebrei sono certi che la maggioranza dei palestinesi voglia la distruzione del loro Stato, proprio in quanto Stato ebreo, e questo porta all’odio antiebraico. Vedono l’antisionismo come il volto moderno del vecchio antisemitismo che portò dopo secoli di persecuzioni alla “soluzione finale”, la Shoah. Prendono sul serio Hamas che si dice disposta a tutto, anche a sacrificare come martiri i propri figli, pur di vedere lo Stato ebraico sparire “dal fiume al mare”.
I paesi arabi sembrano disposti a cercare di riprendere il dialogo, ma il dialogo finora si svolge tra Stati Uniti, Francia, Egitto, Qatar e Arabia Saudita. Cioè senza israeliani e palestinesi, i due popoli per i due Stati. Al massimo, le diplomazie internazionali possono trovare parziali soluzioni per gli ostaggi e per gli aiuti che servono ad alleggerire la crisi umanitaria, non certo a trovare una vera soluzione che sola permetterebbe di porre fine alla guerra. Non c’è una leadership palestinese con la quale trattare e si teme che il “dopo Mazen” scateni nuovi scontri interni. Il destino politico di Netanyahu è certo compromesso ma gli estremisti ultrasionisti e ultrareligiosi aumentano (è un fatto statistico e demografico).

Palestinesi, ma quali?
La crescita in tutto il mondo di manifestazioni anti israeliane si connota sempre più con toni anti ebraici, cioè antisemiti, il che non può che esasperare i toni. L’odio crescente verso Israele che si avverte in tanti incontri pubblici e persino nelle università non è certo un passo avanti sulla via della pace. Come non lo sono i nuovi insediamenti: un futuro Stato palestinese dovrebbe fare i conti con centinaia di migliaia di coloni ebrei.
È questo un quadro nel quale la Russia si sta inserendo prepotentemente, proponendo alle fazioni estremiste palestinesi di incontrarsi a Mosca.
Per Israele scegliere di trattare con i palestinesi (ma quali?) la soluzione con i due Stati è improponibile, almeno fino a quando non vedrà sparire Hamas e si sentirà garantita da tutte le potenze mondiali e regionali. Non certo dall’Onu nel quale non ripone nessuna fiducia (e non senza motivo).
Il gesto di Pizzaballa
Tornare allo spirito di Oslo è la speranza per la quale il Papa e i Patriarchi invitano a pregare. Sapendo che generazioni educate all’odio difficilmente potranno educare alla pace.
Paradossalmente, appare sempre più realistica la “speranza contro ogni speranza” invocata da papa Francesco e dal Patriarca di Gerusalemme, il cardinale Piazzaballa. Il suo gesto di offrirsi al posto degli ostaggi (ed è stato il solo) ha scalfito qualche cuore, la testimonianza dei cristiani di Gaza che restano ad aiutare tutti, pur vivendo come tutti nella tragedia, splende come un segno. Anche la preghiera può essere un’occasione, a costo di sfiorare e sfidare quello che vent’anni fa il vescovo di Como Maggiolini, definì «il martirio del ridicolo»: lo sberleffo che i miti, inermi costruttori di pace subiscono a fronte della tracotante quanto inutile forza distruttrice.
Il tempo dirà chi ha costruito la Storia e ha tracciato la Road map della pace.
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