Nell’ospedale tra i migranti scampati ai naufragi. «Ho visto nascere Lahmar, la gioia della vita conquistata»

Di Chiara Rizzo
09 Ottobre 2013
Orazio Vecchio (Ospedale Cannizzaro, Catania): «Nel dramma degli sbarchi le notizie più belle e le più brutte. Come quando ho dovuto dire a un uomo che erano morti 13 suoi compagni di viaggio»

Domani, 9 ottobre, il presidente della Commissione europea José Barroso sarà a Lampedusa, mentre oggi continuano le operazioni di ricerca e recupero delle vittime della strage della settimana scorsa al largo delle coste di Lampedusa: il bilancio sale a 287 corpi riportati in superficie. Non si arrestano però gli sbarchi di nuovi migranti, in questi giorni in Sicilia e la sera del 7 ottobre sono giunte 250 persone, per la maggior parte si sono dichiarati siriani e palestinesi (79 i minori).

In molti di questi casi, i migranti in condizioni di salute più gravi sono soccorsi immediatamente al loro arrivo sulle spiagge da medici siciliani. Tra questi, ci sono i sanitari dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, uno dei più grossi presìdi della Sicilia orientale. Qui lavora anche Orazio Vecchio, giornalista in forze all’ufficio stampa della struttura, che ha avuto modo di seguire in prima persona le operazioni di soccorso. «L’incontro che più mi ha colpito e commosso è stato quello, fortuito, con uno dei 200 migranti sbarcati a Scicli lo scorso 30 settembre», racconta a tempi.it. «Si tratta dei sopravvissuti a un’ennesima tragedia, dato che 13 persone sono morte in quel caso, perché furono prese a cinghiate dagli scafisti che li volevano costringere a tuffarsi in acqua dopo che il mare mosso e il maltempo avevano scatenato il panico a bordo del barcone» .

Cosa è accaduto con il migrante sopravvissuto a Scicli?
Il 30 settembre, alcuni dei migranti in condizioni di salute allarmanti sono stati trasferiti d’urgenza all’ospedale Cannizzaro. Tra loro c’era anche una donna incinta, e poi l’uomo che ho incontrato io. All’una di notte di quel giorno, avevo deciso di andare a chiedere notizie dirette di uno dei migranti giunti al nostro ospedale. Il medico mi ha preso in contropiede e mi ha accompagnato da lui. Mi sono trovato davanti un ragazzo in condizioni discrete, nonostante quello che aveva passato: la fuga, la traversata, le bastonate, il rischio di morire. Gli ho sorriso e lui mi ha risposto allo stesso modo, felice della visita. Parlava un inglese stentato, mi ha chiesto cosa faccio e quando ha compreso il mio lavoro mi ha rivolto alcune domande: «Cos’è successo? C’è qualcuno in ospedale oltre a me?». Gli ho risposto che erano in due lì a Catania. Al che lui mi ha chiesto semplicemente: «E gli altri?». Ho capito solo allora che avevo l’ingrato compito di dargli la notizia dei 13 morti tra i suoi compagni di viaggio. Gli ho dovuto ripetere il numero alcune volte, gliel’ho mimato. Lui ha fatto una smorfia, mentre i suoi occhi diventavano lucidi.

Non si era accorto di niente?
Non sapeva, non poteva crederci. Lui, almeno, non aveva visto come me quella drammatica fila di corpi allineati sulla spiaggia. Chi fa il giornalista le notizie le cerca. Ma a volte succede che siano le notizie a trovarti. Per fortuna però in questo dramma degli sbarchi in Sicilia ho visto anche le notizie più belle da raccontare.

Notizie belle?
È successo tre settimane fa, quando nell’ospedale è stata portata una giovane siriana incinta soccorsa al largo di Siracusa il 15 settembre, quando era già alle doglie. Ricoverata in condizioni critiche, ha partorito una bimba di 2,6 chili. Il mio compito è stato quello di favorire i media e soprattutto di dare un’immagine di quella storia. Così ho potuto vedere e fotografare una piccola bimba che si agitava nella culla della terapia intensiva di Neonatologia. Quel corpicino, con ancora attaccati i cerotti delle flebo, sopravvissuto come i suoi genitori a un viaggio della speranza, al tragitto in mare, alle fatiche e alla fame, mi è sembrata la notizia più bella. Si chiama Lahmar. Le sue gambine che si agitavano sembravano esprimere la gioia della vita conquistata e allo stesso tempo l’ansia di tornare con la mamma, in cura nell’altro reparto. Ho continuato a informarmi sempre sulla donna e sulla piccola: so che stanno bene tutte e due.

In ospedale a Catania è stata trasferita anche un’altra profuga siriana, arrivata sulle spiagge siciliane al quinto mese di gravidanza. Come sta oggi?
Sta bene, adesso si è ripresa. Quando è arrivata in ospedale era disidratata e malnutrita da giorni, tutto il tempo del viaggio in mare, forse anche perché si sarà sacrificata per non far mancare nulla ai suoi tre figli: due di loro, di uno e tre anni, l’hanno accompagnata durante il ricovero.

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