
Ora gli eroi anticasta invocano i costi standard, ma sono loro che li hanno affossati

I nostri giornali importanti dovrebbero riflettere e guardarsi bene dentro prima di giocare la carta etica di una Stormy Daniels, l’attrice porno della campagna democrat anti Trump. Ieri il Corriere della Sera l’ha piazzata a bocca spalancata proprio al centro della sua prima pagina. A far da spalla all’ineffabile Gian Antonio Stella e alla sua articolessa che passando dalla prima alla 20 si prendeva tutta una pagina a bocca aperta davanti a un dossier anticorruzione del buon Raffaele Cantone, presidente della mitica Anac, l'”Autorità Nazionale Anti-Corruzione”, detta come piaceva a Mosca negli anni Trenta.
Ma ecco, cosa ti scopre il buon Corriere per la penna del famoso anticastista, dopo che per anni l’uno e l’altro si sono distinti per dare addosso al federalismo fiscale e per fomentare il dagli alla Casta politica, e specialmente se federalista del Nord?
Ti scopre “la babele dei costi negli ospedali”. E chissà perché se la prende solo con i costi pasto. Quando il problema sono i costi delle strutture sanitarie, dei macchinari, delle infrastrutture medicali eccetera. E soprattutto il problema è l’impossibilità di comparare i costi, perché ciascuno ha la propria contabilità e qualcuno (come la Calabria) fino a poco tempo fa non aveva neanche un bilancio certificato (se non “a voce”).
Insomma tutte cose che il Copaff, la commissione paritetica Stato-Regioni per l’attuazione del federalismo fiscale, aveva ampiamente squadernato parecchi anni addietro. Anche su Tempi, per bocca del suo (ex) presidente Luca Antonini.
E che il grande giornalismo anticasta aveva preferito non approfondire. E che giunto al comando Renzi ha preferito eliminare, chiudendo di fatto la Commissione per il federalismo fiscale per sostituirla con l’Authority che fa più sangue Anticorruzione.
Infatti, cos’hanno in comune i governi che si sono succeduti da Monti a Renzi, e che qualcuno forse sta sognando di replicare adesso, con un Gentiloni fresco di cantina o con uno di quei grand commis di Stato, tirati fuori dal freezer all’occorrenza, giusto per dare a Bruxelles la sicurezza che voto o non voto l’Italia alla fine è pronta per la tosatura, doppia, tripla, di pelo e contropelo, serbatoio di migrazioni, aumento dell’Iva, intensa attività di tassazione patrimoniale?
Hanno in comune l’affossamento del federalismo fiscale. L’invenzione della “bufala” (come l’ha definita Angelo Panebianco) dell’Italia paese più corrotto del mondo. La moltiplicazione (da Stato corrotto, come diceva Tacito) di leggi ed enti anticorruzione. L’esaurimento di ogni filone di cronaca che non portasse al giornalismo tutto mani pulite, anticasta e grillista.
Insomma, per cianciare di riforme evitando di farle sul serio, la umma umma dello statalismo mangione si è attrezzato anzitutto per calunniare (e poi passare alle procure) le autonomie locali di comuni e regioni, abolendo le province solo su carta e riportando a Roma tutte le risorse prodotte dal gettito locale.
Così, chiuso il Copaff e rimpiazzato con l’Autorità Nazionale Anticoruzione, il taglio del debito pubblico è rimasto la panzana che Roma ha ripetuto ad ogni elezione.
Da Monti a Renzi, dopo il colpo di mano che si è portato via Berlusconi sono stati solo anni di crescita del debito. Quattro anni di mancati tagli alla spesa pubblica. E quattro commissari alla spending review puntualmente licenziati o spinti alle dimissioni (Piero Giarda nel 2012, Enrico Bondi nel 2013, Carlo Cottarelli nel 2014, Roberto Perotti nel 2015), dopo essere stati presentati come i salvatori della patria.
Dopo di che, se a causa dell’emergenza etica quest’anno non si beccano il Nobel per la letteratura, magari la coppia dell’anticasta e manipulite più etica che c’è potrebbe entrare all’Academy al posto di quegli sporcaccioni di Bill Cosby e Roman Polanski. Quanto a noi, cari giornaloni, portateci la modella o la Daniels, non la cocaina o l’etica di Franza o Spagna.
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