
Ora che siamo tutti “social” è spuntato un muro tra calciatori e media

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il problema della vecchiaia, compagni, amici e bastardi di ogni genere e grado, come vi ho spiegato tante volte, ma siccome siete tardi ve lo spiego di nuovo, è il reducismo. Cioè quell’inevitabile fiume di ricordi che ci assale e che sfocia, spesso, nel tragico “si stava meglio quando si stava peggio”. Meglio evitare, ma come sempre la verità sta nel mezzo: c’erano cose per cui si stava meglio e cose per cui si stava peggio.
L’altro giorno ho incontrato, dopo un po’ di anni, Alessandro “Spillo” Altobelli e abbiamo rievocato i tempi in cui io salivo ad Appiano Gentile e lui mi rubava i giornali. Non c’è nessuno col braccino corto come un calciatore. Io lo prendevo in giro, quando si allontanava con i miei giornali sotto braccio: «Ogni volta mi stupisci, sai anche leggere». Ci siamo fatti un paio di risate. Adesso ad Appiano Gentile, il centro sportivo dell’Inter, ma anche a Milanello o a Vinovo, dove sta la Juventus, è tutto cambiato. Ora quando leggo un articolo, quasi tutte le dichiarazioni dei giocatori provengono da qualche social.
Ormai c’è un muro, vero e proprio o metaforico, eretto dagli uffici stampa, tra i calciatori e i media. Non voglio fare paragoni, ma sono convinto che quelle quattro chiacchiere con quelli di cui parlavo nei miei articoli mi abbiano fatto diventare un giornalista migliore. E magari, rubando i giornali, anche i calciatori imparerebbero qualcosa.
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