
Onoriamo Marco Biagi non solo con cerimonie, ma soprattutto applicandone le idee
Oggi è l’anniversario della morte di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse undici anni fa sull’uscio della sua casa di Bologna. Sul Corriere della Sera di questa mattina è apparsa la lettera dell’ex ministro Maurizio Sacconi, amico personale di Biagi e presidente dell’associazione che porta il suo nome. Riproduciamo di seguito la lettera.
Caro direttore,
l’anniversario della tragica morte di Marco Biagi costituisce da undici anni motivo di riflessione su un mercato del lavoro viziato da sovraccarico ideologico e monito a prendere con più decisione la via «naturale» che egli ebbe modo di indicare con tanta preveggenza. Biagi si preoccupava del «lavoro che c’è ma non si vede». E invero le regolazioni più duttili da lui suggerite hanno determinato un rilevante fenomeno di emersione di lavori irregolari fino alla crisi e alla legge Fornero. Ma egli voleva provvedere anche al «lavoro che non c’è» nella convinzione che le regole cattive e complicate inibiscono la propensione a intraprendere e assumere anche quando se ne avverte il bisogno.
L’Italia non è stato forse il Paese degli esagerati investimenti in tecnologie di processo a risparmio di lavoro? Ora il lavoro è davvero crollato ed è elevato il livello di sotto impiego del nostro capitale umano, specie giovanile, pur in presenza di una forte contrazione demografica. Ne porta rilevante responsabilità il nostro sistema educativo, così chiuso al mondo del lavoro e occupato a garantire i cattivi educatori anche a costo di percorsi vuoti ma disorientanti chi disperatamente cerca un titolo per un lavoro.
Che fare? Soccorre ancora il suo pensiero perché a misura della persona. Biagi suggeriva un testo unico semplice contenente solo le norme fondamentali, inderogabili e applicabili a tutti i lavori. Lo Statuto dei Lavori, appunto. E poi tanta libera contrattazione, quanto più prossima alla concretezza dei bisogni di persone e imprese. Perciò collettiva a livello aziendale, ma anche individuale purché «certificata» nella libera volontà dei contraenti. Marco insomma detestava il centralismo che tutto pretende di uniformare con il risultato che moltissime situazioni lo rifiutano, si sommergono o non si esprimono per nulla. Ora, nel mezzo della grande crisi, servirebbe onorarlo non solo con cerimonie, premi e convegni, ma soprattutto applicandone le idee. Le alterne vicende politiche hanno depositato un intrico contraddittorio di norme.
Certificazione dei contratti individuali, regolazione dei contratti aziendali, arbitrato per la rapida risoluzione delle controversie sono strumenti disegnati da Biagi, disponibili ma frenati da blocchi ideologici e opportunismi associativi. La disciplina delle tipologie contrattuali è stata resa incerta e complicata. Tasse e contributi sono diventati insostenibili. Cancelliamo di corsa molte disposizioni e detassiamo subito i primi contratti permanenti dei giovani, con particolare riguardo all’apprendistato che unisce apprendimento e lavoro. Avviamo poi una legge delega per il nuovo, semplice, testo unico-Statuto e rispettiamo l’autonomia contrattuale nei luoghi del lavoro e della produzione. Ogni pretesa di controllo politico significherebbe solo sfiducia in lavoratori e imprenditori. Quella che Marco, cattolico e socialista riformista, non aveva perché orientato da una visione positiva dell’uomo.
Maurizio Sacconi
www.amicimarcobiagi.com
Presidente Associazione Amici di Marco Biagi
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