
“On the road”, Jack Kerouac e il Greenwich Village negli anni ’50
C’è un luogo in cui ha origine On the Road, il romanzo di Jack Kerouac capolavoro della beat generation – di cui, da oggi, potremmo gustarci la sua versione cinematografica ad opera di Walter Salles – che ha consacrato lo scrittore nell’albo dei massimi maestri di genere. Perché lui, un genere, l’ha creato. Non da zero, come si usa credere. Ha invece ricevuto molteplici e notevolissime influenze dal mondo americano a lui contemporaneo: il secondo dopoguerra, l’inizio in sordina della Guerra Fredda, lo sviluppo economico dei vincitori. Dicevamo, il luogo in cui ha origine On the Road non è Denver, non sono le tappe del lungo tragitto per l’America assolata da cui si ispira la narrazione, ma è il Greenwich Village, fecondo punto d’incontro di momenti culturali diversi ma simili.
GLI INIZI.Il Greenwich Village è un piccolo quartiere nella parte est di Manhattan. Negli anni Cinquanta del secolo scorso era un crocevia di artisti scapestrati e di bohémien di strada, non ancora il luogo di culto consacrato dai turisti dell’ultima ora. Perché era un quartiere abbastanza povero, popolare, vicino sì al centro vivo e fermentante di New York, ma non ancora borghese. Uno strana corrispondenza di eventi ha permesso al Village di diventare il centro di gravità dell’arte di quel periodo, sia per quel che riguarda la musica, sia per la letteratura, sia per l’arte in genere.
L’INFORMALE. Sono gli anni della scuola di New York, quella che proprio in quegli anni dà il via all'”informale” americano, l’action painting. L’opera d’arte non è più l’oggetto concluso, la “decorazione”, ma è l’azione dell’artista “mentre” la crea, le modalità con cui esso “concretizza” il suo inconscio. Si perde la passione per il figurativismo per consacrare l’assoluta libertà d’espressione del proprio io. È qui che gente come Wiliam De Kooning e soprattutto Jackson Pollock iniziano la propria ascesa all’olimpo dell’arte.
IL BEBOP. È un trasferimento del punto di vista, un passaggio simile a quello che, contemporaneamente, ha toccato il mondo della musica. Il jazz si suonava dappertutto. Era una moda esplosiva. Il blues piaceva, ma il jazz raccoglieva più consensi. E in questi anni sorge, culmina e discende la più grande e incontrollabile meteora musicale americana: Charlie Parker, “The Bird”. Sulla stessa scia degli informali, il sassofonista Parker inventa il bebop: uno stile ipercinetico, velocissimo, ricco di complesse elaborazioni cromatiche. Che presto diventò anche un triste, disperato, desolante modus vivendi. Lo stesso Parker morì giovanissimo, poco più che trentenne, per una polmonite causata in parte dai continui suoi eccessi.
PROSA SPONTANEA. Il fenomeno Kerouac, e quello della “prosa spontanea” da lui creata, non è quindi privo di una solida base culturale. La creazione di un’opera d’arte non parte dalla consapevolezza dei propri mezzi stilistici, quanto da una libera e immediata espressione dell’inconscio. Così, la base di molta poesia dell’epoca si ritrova in Walt Whitman, scrittore ottocentesco caratterizzato da metri lunghi, stile narrativo e rime ben cadenzate. A cui va aggiunto anche un pizzico di senso epico che è invece cifra del Moby Dick di Herman Melville, da cui nessuno scrittore americano poteva prescindere. Nemmeno Kerouac.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!