Olanda, arrestato il capo della “setta” del suicidio in polvere

Di Caterina Giojelli
03 Ottobre 2021
Jos van Wijk è accusato di «fare parte di un'organizzazione criminale che commette e pianifica suicidi assistiti». Ma la strada all'eutanasia “fai da te” è stata spianata legalmente
Jos van Wijk, presidente di Laatste wil (“L’ultima volontà”), cooperativa olandese che aiuta i suoi membri a suicidarsi
Jos van Wijk, presidente di Laatste wil (“L’ultima volontà”), cooperativa olandese che aiuta i suoi membri a suicidarsi

Questa settimana è stato arrestato Jos van Wijk, presidente della famigerata Coöperatie Laatste Wil (Clw, “Cooperativa L’ultima volontà”), il gruppo olandese che da anni va propinando il suicidio assistito “fai-da-te” ai suoi membri (oggi ne dichiara oltre 26.500). L’accusa? «Fare parte di un’organizzazione criminale il cui scopo è commettere e/o pianificare il reato di suicidio assistito». Nei Paesi Bassi l’eutanasia è legale dal 2002, e, come vi ha raccontato più volte Tempi, da una norma che si diceva riservata a casi limite e sofferenze intollerabili, si è passati a “uccidere per aiutare” anche malati cronici non terminali, disabili, persone con problemi di salute mentale, depressione, vecchiaia, malati di demenza e bambini.

Un suicidio tutt’alto che assistito

Nel 2019 – ultimi dati disponibili – sono stati registrati 6.361 decessi con l’eutanasia: nonostante le evidenti storture, le segnalazioni di irregolarità e abusi (documentati anche dal Bmj e denunciati dal Jama Internal Medicine), resta tuttavia formalmente illegale per chiunque non sia un medico somministrare al paziente un farmaco letale (o farglielo assumere), un reato punibile con la detenzione fino a tre anni.

E questa è una barbarie per l’indefessa cooperativa di Wijk, che difende il diritto universale a scegliere come e quando morire e avere il pieno controllo del proprio suicidio, «solo noi possiamo determinare se la nostra vita è finita o quando la sofferenza è insopportabile». “Solo noi”: la tesi è che non tocchi a medici, consulenti etc, decidere per un altro. Per questo ad aprile è stata intentata una causa contro lo stato olandese colpevole di negare ai cittadini «il diritto di morire con dignità», cioè padroneggiando fino alla fine l’esito fatale della propria esistenza.

Il farmaco che porta «un’ora di agonia»

Poi a luglio, i pubblici ministeri arrestano a Eindhoven Alex S., un giovane accusato di aver fornito una «sostanza sospetta» ad almeno sei persone che si sono suicidate. Una polvere nota come Middel X che l’uomo – secondo i pm aderente a Clw – avrebbe venduto a centinaia di persone a partire da novembre 2018. E che porta a una morte tutt’altro che dolce: nonostante la cooperativa la promuova da anni per morire in modo rapido e dignitoso, Joris Prinssen, portavoce del Centro nazionale antiveleni, ha assicurato che l’ingestione comporta di norma «almeno un’ora di agonia», preceduta da «vomito, mancanza di respiro, sudorazione, confusione, abbassamento della pressione sanguigna e disturbi cardiaci». E non esiste alcun antidoto per arrestare l’orrenda morte.

Ma Jos van Wijk e soci l’hanno sempre venduta in modo diverso: la morte costa poco, è indolore, si compra su internet, non servono ricette e nemmeno medici per somministrarla. Per questo tre anni fa i pubblici ministeri del Belgio (che in quanto a eutanasie autorizzate per un nonnulla e medici finiti alla sbarra non è secondo a nessuno) aprirono un’inchiesta: Clw aveva organizzato uno dei suoi incontri alla filiale belga di Gand e grande eco avevano avuto nelle Fiandre le parole di Caroline, madre di Ximena Knol, alla tv olandese: «La nostra Ximena, affettuosa, socievole, sempre disposta ad aiutare tutti, poteva essere salvata. È morta per colpa di una società impietosa e indifferente, e del governo, che ha sottovalutato il problema».

La morte di Ximena

Ximena aveva solo 19 anni quando, devastata da un abuso sessuale e vistasi negare l’eutanasia dai medici, riuscì a procurarsi una sostanza letale. Gli inquirenti non riuscirono a dimostrare alcun collegamento tra la morte della ragazza e Clw, ma i proclami dell’associazione erano ben noti alla ragazza e i genitori sono certissimi sia stata l’organizzazione ad aiutarla a morire. Tempi vi aveva raccontato qui come Jos van Wijk e adepti avessero individuato una sorta di conservante che, raffinato in polvere da disciogliere in acqua, permettesse di morire in soli 20 minuti. O almeno così promettevano.

Un prodotto venduto attraverso ordini non inferiori alle 9 tonnellate: «Il prodotto è legale e sicuro. Le persone si addormentano in una ventina di minuti, senza shock o altri spiacevoli effetti collaterali. È consigliabile prendere un antidolorifico, perché può dare forti mal di testa», raccontava Jos van Wijk nel 2017, quando ancora Clw non aveva rivelato il nome della sostanza. «Non dirò cosa sia per motivi di sicurezza. Non è disponibile in negozio. Ma sul web sì»; «Non siamo autorizzati a fornirlo noi, possiamo solo informare i nostri membri su come ottenerlo. Saranno loro a formare dei gruppi, una persona poi acquisterà un importo destinato a più persone. È infatti disponibile solo in grandi quantità mentre [per morire] sono necessari solo 2 grammi. I membri lo divideranno tra di loro. Legalmente, questo non è suicidio assistito».

La cassaforte, le impronte digitali

Una cassetta di sicurezza accessibile solo tramite impronte digitali avrebbe conservato le dosi dei membri che avrebbero avuto diritto alla loro parte dopo sei mesi di “anzianità” dall’iscrizione all’associazione e solo in seguito a una “sessione” della cooperativa. Il tutto per 180 euro (prezzo comprensivo del costo della sostanza della conservazione della cassetta di sicurezza e di una percentuale destinata alla cooperativa per difendersi legalmente da azioni giudiziarie).

Secondo gli avvocati di van Wijk, rilasciato ma sotto indagine, l’associazione ha sempre operato per scardinare la legge sì, ma nel perimetro della legalità e con la massima trasparenza: non compra né distribuisce il farmaco di cui il governo ha vietato la vendita ai privati, si limita a “condividere le conoscenze sulla preparazione per un fine vita scelto da sé”. Come e se le informazioni vadano in porto, non sono fatti di Clw. Non lo è nemmeno dare informazioni corrette o giudicare le ragioni che spingerebbero chiunque a darsi la morte. Non bisogna essere estremamente malati o insopportabilmente sofferenti e giudicati tali da medici qualificati per morire, è la tesi estrema della cooperativa. Di più, secondo gli attivisti la necessità di coinvolgere un medico qualificato nella decisione sul fine vita inibisce le persone impedendo loro di porre fine all’esistenza come e quando vogliono. Giusto tre anni fa l’81enne Carla Jas raccontava ai media di aver acquistato il prodotto, per poterne disporre a tempo debito: «Comprandola mi sono tolta un peso dalle spalle. Da allora sono molto più serena e questo significa che vivrò più a lungo. Questo è lo scopo».

Far fuori il paziente e il medico

Oggi Jos van Wijk è finito nei guai, ma nel regno dell’eutanasia e del suicidio assistito legale era inevitabile arrivare discutere di fare fuori, insieme al “paziente” anche il dottore. Come aveva spietatamente profetizzato il dottor Morte australiano Philip Nitschke, altro grande indagato per istigazione al suicidio, fondatore del gruppo pro-eutanasia Exit International: «Nei paesi in cui l’eutanasia è legale la discussione si sta spostando, oggi è a tema se porre fine alla vita sia una questione medica o di diritti umani». Diritti umani?

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