Ogni uomo ha la sua Apocalisse

Di Marina Mojana
24 Maggio 2007
In mostra a Illegio non c'è solo la fine del mondo ma il disvelamento, a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, del senso della storia. Da Dürer a El Greco, dai codici del primo millennio alle icone di Novgorod, da Dalì a De Chirico. È in Veneto l'appuntamento culturale dell'estate

Cose da fine del mondo: due adolescenti fanno il gioco del dialogo (una volta andava di moda quello della bottiglia), una gara a chi riesce a sovrastare l’altro vomitandosi addosso parole, affrontando un argomento e proseguendolo senza fermarsi, senza ascoltare il rivale, senza cedimenti narrativi o psicologici. Pura violenza verbale. Cose da fine del mondo: le diciottenni americane non vanno più al ballo delle debuttanti, ma come regalo di maturità chiedono la plastica al seno. Vogliono emulare Sheila de Almeida, la ragazza con le tette più voluminose di tutto il Brasile: ha conseguito il record grazie a 14 operazioni di chirurgia estetica e due chili e mezzo di silicone inserito nel suo petto in quattro anni.
Siamo a un passo dalla fine della storia? Sembrerebbe di sì, a giudicare dal pullulare di profezie new age e di libri sull’ora della verità, di mostre d’arte contemporanea sulla fine del mondo (alla Fondazione Mudima di Milano dal 5 giugno al 14 luglio) e sull’apocalisse (al MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma fino al primo luglio). Mille, non più mille, forse 2012. Già, l’apocalisse. Si tratta di una parola che evoca alla prima un cataclisma naturale, alla seconda un conflitto intergalattico, alla terza il giudizio universale, ma che alla lettera (dal greco) significa semplicemente rivelazione. L’ultima rivelazione.
Lo racconta, con un centinaio di capolavori dell’arte antica e moderna da Dürer a El Greco, dai codici del primo millennio alle icone di Novgorod, da Salvador Dalì a Giorgio De Chirico, una mostra intelligente, in corso fino al 30 settembre nella Casa delle Esposizione di IIlegio, vicino a Tolmezzo (un’ora e mezzo da Venezia e da Treviso). Il titolo, Apocalisse. L’ultima rivelazione, è illuminante e l’evento sarà il vero appuntamento culturale dell’estate, molto più della Biennale di Venezia, ormai vecchia e stanca.
Curata da Alessio Geretti e commentata in catalogo (Skira) da saggi di esegesi biblica e di storia della Chiesa dei primi secoli, la mostra è stata inaugurata un mese fa alla presenza del cardinale Tarcisio Bertone per appassionare a questo libro, frequentemente ignorato e talvolta frainteso, attraverso documenti artistici che testimoniano la sua vitalità nei millenni: pergamene miniate, pitture su tavola e su tela, sculture, oggetti di oreficeria, incisioni e disegni. Promossa dal Comitato di San Floriano di Illegio, l’esposizione riscopre il testo dell’Apocalisse con la pubblicazione di due nuovi volumi di studi e attraverso un calendario di sette eventi (come i sette sigilli) che animeranno i mesi estivi, da giugno a settembre (informazioni dettagliate si possono trovare sul sito www.illegio.it).
Fin dai primi capitoli (sono in tutto 22) si comprende chiaramente che l’Apocalisse usa un linguaggio simbolico per dire il destino dell’umanità, ciò per cui è fatto il cuore dell’uomo. I livelli interpretativi sono, da sempre, molteplici: cosmico, animale o teriomorfico, cromatico, numerico, antropologico.
Si tratta di una visione grandiosa e drammatica, scritta dall’evangelista Giovanni, sul finire del I secolo, in forma di lunga lettera e, a tratti, di dialogo liturgico sull’isola di Pathmos, nel Mar Egeo, dove si trovava in esilio a causa della fede. L’autore è l’apostolo preferito di Gesù, il suo amico intimo, quello a cui il Cristo morente sulla croce affida la madre Maria. Quando riceve in visione il messaggio profetico egli ha ormai più di settant’anni. Le rivelazioni che sigillano la Bibbia sono in definitiva il disvelamento, a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, del senso della storia umana.
Non, quindi, un inquietante annuncio della fine incombente e di un epilogo catastrofico per il cammino dell’umanità: piuttosto una testimonianza. L’Apocalisse è il libro della speranza e delle liete sorprese, dei colpi di scena e delle moltitudini di santi. La lotta finale è tra l’immenso e perfido drago a sette teste, che vorrebbe la rovina universale di ogni essere vivente e che fa nascere dal mare la bestia, il cui numero è 666, e l’Agnello di Dio, immolato e vivente, che lo sconfigge grazie a una donna vestita di sole, rappresentata con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle.
Il libro va compreso sullo sfondo della drammatica esperienza della Chiesa delle origini, ed in particolare delle sette Chiese d’Asia: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiàtira, Sardi, Filadelfia, Laodicéa, che dal tempo di Nerone a quello di Domiziano dovettero affrontare difficoltà, persecuzioni e tensioni interne. Ad esse Giovanni si rivolge, esortandole a rimanere salde nella fede e a non lasciarsi sedurre o spaventare dalle potenze di questo mondo, apparentemente così forti, ma destinate al fallimento. L’Apocalisse, con il suo fantasmagorico repertorio di simboli e di profezie, suscita da sempre innumerevoli tentativi di decodificazione, di traduzione, di attualizzazione, ispira artisti, filosofi, letterati e mistici. È un libro potente e dice una grande verità: chi ignora le cose ultime (o metafisiche) atrofizza la morale e riduce la ragione. Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica la realtà e si prepara, da solo, la propria infelicità, cioè la fine del suo mondo.

1. S. Michele abbatte
l’angelo ribelle (1633 ca)

2. S. Michele sconfigge Satana (inizio XV secolo)
Josse Lieferinxe è un pittore provenzale morto a Marsiglia prima del 1508. In età matura realizza un grande polittico di otto pannelli. Ne restano cinque, uno di questi è il bellissimo arcangelo Michele con la bilancia, per pesare la consistenza delle anime nell’ultimo giudizio e con la spada, per uccidere Satana. Michael, che in ebraico significa “chi è come Dio?” è invocato negli esorcismi, comanda le schiere angeliche e ubbidisce alla Vergine Maria; è un’immagine ricorrente nella storia dell’arte europea. Con gli stessi attributi, e nell’atto di abbattere Lucifero, l’angelo ribelle, lo raffigura anche il napoletano Luca Giordano nel 1633.

3. Giudizio Universale, particolare (1460)
Questa tavola di quercia dipinta a tempera proviene dall’Abbazia di St Florian, in Austria ed è attribuita al pittore Ruprecht Fuetre. Di cultura tedesca, attivo a Colonia verso la metà del XV secolo, l’artista raffigura il Cristo redentore in una gloria di sei angeli: due sono musicanti, due lo sorreggono a mo’ di trono regale, mentre altri due portano la colonna della flagellazione e la lancia che gli trafisse il costato, attributi della sua passione e richiamo alla morte che Gesù sconfigge risorgendo il terzo giorno.

4. I quattro cavalieri
dell’Apocalisse (1496-1498)
Nel 1498 Albrecht Dürer pubblicò a sue spese l’Apocalisse, il suo primo libro illustrato da quindici xilografie e frontespizi, con il testo in tedesco e latino. L’opera lo rese di colpo celebre in tutta Europa: aveva 27 anni e divenne un modello da imitare per il realismo delle immagini e la forza drammatica della composizione. Nell’incisione su legno l’artista illustra i quattro apocalittici cavalieri della visione di Giovanni. Dopo che l’Agnello mistico (simbolo del Cristo) rompe il primo dei sette sigilli, compare sul cavallo bianco un re arciere, che è la personificazione della vittoria; all’apertura del secondo sigillo ecco un soldato armato di spada, in sella a un cavallo rosso: è il simbolo della guerra. Rotto il terzo sigillo arriva un cavallo nero, montato da un cavaliere cieco, che con una bilancia in mano pesa le cibarie: è la carestia. Da ultimo, aperto il quarto sigillo, giunge su un verde ronzino un cavaliere il cui nome è pestilenza e morte. Sono i flagelli dell’umanità: guerra, carestia, pestilenza e morte.

5. L’immacolata concezione (1608-1614)
Capolavoro di El Greco, la tela proviene dal museo Thyssen Bornemisza di Madrid. È una delle ultime versioni elaborate nell’arco di vent’anni dall’artista sul tema della vergine concepita senza peccato originale. Infusa di Spirito Santo, sceso su di lei sotto forma di colomba, Maria si staglia orante in un cielo in tempesta, tra la gloria degli angeli, il sole, la luna e i suoi attributi terreni: la purezza (i gigli), la fortezza (la torre di Davide), la speranza (la fontana), la palma, le rose, il serpente di Eva. La visione di Giovanni è qui tutt’uno con quella dell’artista, che liquefa la materia tra riverberi e zone d’ombra per descrivere una donna, porta del cielo, in lotta col serpente, signore degli inferi.

6. Apocalisse di Bamberga (XI sec)
Il codice con l’Apocalisse di Bamberga risale al tempo di Ottone III (996-1002). Comprende 57 miniature su pergamena e proviene dallo Scriptorium del convento di Reichenau. Come narra san Giovanni nel capitolo 12 dell’Apocalisse, nel cielo appare un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle; un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna, insidia il bambino che lei ha appena partorito e lo vuole divorare. Il figlio è il Logos di Dio e la donna è Maria, madre della Chiesa sempre in travaglio, raffigurata sullo sfondo.

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