
Il sensato no della Fina ai trans nelle gare di nuoto femminile

Non ci voleva molto, occorreva solo un po’ di buon senso, ma in queste faccende, cioè le faccende di “genere”, il buon senso si astiene per lasciare spazio all’ideologia. La notizia è questa: la Fina, la Federnuoto mondiale, ha deciso di escludere dalle gare femminili gli atleti trans, e proposto la creazione di una “categoria aperta” in cui gli atleti transgender possano competere. Lo ha annunciato a Budapest, dove sono in svolgimento i Mondiali, il presidente Husain Al-Musallam. «Non voglio che a un atleta venga detto che non può competere ai massimi livelli. Fonderò un gruppo di lavoro per creare una categoria aperta durante le nostre competizioni. Saremo la prima federazione a farlo».
La visione ideologica dietro alle critiche
Bene. Invece no. La decisione ha provocato polemiche e critiche di qua e di là dell’Atlantico, la maggioranza contrarie, ma alcune favorevoli. Ora, premesso che per quello che mi riguarda, tutti possono gareggiare con tutti, donne, uomini, vecchi, bambini, adesso, secondo regolamento, Lia Thomas (nuoto) ed Emily Bridges (ciclismo) le due atlete attorno a cui si è acceso il dibattito, «potevano partecipare a gare femminili con un livello di testosterone inferiore a 5 nanomoli per litro, a condizione che quel livello fosse mantenuto per un minimo di 12 mesi dopo l’inizio della transizione». Ma non è meglio per tutti e soprattutto per i transgender non passare la vita a misurarsi i “nanomoli per litro” (qualsiasi cosa siano) e a stare attenti che il livello sia mantenuto per mesi?
Non è meglio gareggiare liberi da vincoli, in gare open? Chi critica questa strada (ghetto, esclusione) intrapresa dal nuoto, non lo fa entrando nello specifico, ma, come sempre, si aggrappa a una visione ideologica. Sì, è vero ci vorrà del tempo, Lia Thomas ed Emily Bridges forse non vedranno realizzato questo progetto, però grazie a loro ne usufruiranno altre persone negli anni a venire.
Polemiche sulla pelle degli atleti trans
L’impressione, di fronte all’ennesima spaccatura, alla sfilza di distinguo, è che, come succede ogni giorno, su qualsiasi argomento, dai vaccini alla guerra, quasi tutti coloro che alzano la voce su questi temi lo fanno sulla pelle dei diretti interessati, cioè gli atleti e le atlete. Il rispetto va esteso a 360 gradi e vanno salvaguardati i diritti di tutti, senza “esclusione”. Il compromesso non è sempre negativo. Qui si parla di sport, di gare, di trovare un modo di convivere. Ma probabilmente a quasi tutti quelli che criticano questa proposta non importa che si arrivi a una soluzione.
A loro interessa portare avanti un’ideologia, sostenere un ruolo, non proporre una soluzione. Vogliono lo scontro permanente, non accettano pareri contrari, non intendono cedere o arrivare a un compromesso, insomma non rappresentano veramente qualcuno e di sicuro non rappresentano Lia Thomas, Emily Bridges e le atlete transgender che vogliono gareggiare, competere. A tutti costoro non interessa nulla di Lia ed Emily, ma solo di se stessi e della loro battaglia ideologica.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!