
Nudi, ma liberi
di Giorgio Vittadini* “Lasciateci andare in giro nudi, ma lasciateci liberi di educare”. Fin dall’inizio della nostra storia questo è diventato il giudizio che ha sfidato professori e tutta la struttura scolastica. Non per conquistare un potere, ma per il desiderio di dilatare un’esperienza positiva. Anche oggi questo è il leit motiv che ci muove perché quella dell’educazione è l’esperienza quotidiana tanto in famiglia che nelle scuole e perciò è impossibile non desiderare che la sua testimonianza si dilati fino a generare opere , un modo diverso di insegnare e la libertà per tutti di guidare un ragazzo verso il destino, verso la ragione.
Scuola libera, non solo cattolica Per questo la nostra battaglia sull’educazione, la più importante dal punto di vista politico, si è svolta su due fronti: pluralismo nella scuola libera e pluralismo nella scuola di Stato. Non abbiamo mai difeso la scuola cattolica in quanto cattolica; semmai ci siamo sempre battuti per la libertà di insegnamento nella scuola di Stato: dalla battaglia sui Decreti Delegati, ormai vent’anni fa, all’idea delle aggregazioni libere delle classi. Questo duplice impegno per il pluralismo ci portò nell’87 a promuovere un convegno “Non di sole aule vive la scuola” che fu come un sasso gettato nel mare dell’indifferenza. Ricordo che venne il cardinal Poletti. Incontrammo anche Claudio Martelli – anche perché i democristiani al tempo non sembravano interessati all’argomento – il quale pubblicò un articolo in prima pagina su Repubblica. In seguitò invitammo Martelli al Meeting e subito fummo etichettati come socialisti. In realtà, si trattava, del tentativo in questo progressivo tentativo di soffocare la libertà di educazione, di trovare una sponda politica che ci permettesse di esprimere una simile esigenza di pluralismo. Non fu compreso e, anzi furono proprio i cattolici ad attaccarci più duramente.
Un PalaVobis di ragioni (non per Berlinguer) Nel ’97 ci fu poi la grande manifestazione del PalaVobis. Fu, più che un’opposizione a Berlinguer, la presa di coscienza di un movimento: dalla semplice proposizione di slogans ideologici eravamo diventati capaci di una presenza, di dare un giudizio e di invitare i leader politici – in quell’occasione vennero i dirigenti del Polo e Lamberto Dini che faceva parte del Governo – per discutere la nostra idea di scuola. Riportammo così d’attualità il tema della scuola libera che fino alla manifestazione del PalaVobis era caduto nel dimenticatoio e forse vi sarebbe rimasto. Da quel momento, invece, la scuola libera tornò ad essere un argomento interessante per gli italiani.
Sono passati un paio di anni di incontri e scontri con Berlinguer su due fondamentali principi: che la riforma dei cicli fosse l’occasione per una maggiore libertà di insegnamento, e che la legge sulla parità fosse l’effettiva possibilità per chiunque, anche per le famiglie non agiate, di scegliere per i propri figli una scuola libera.
L’incontro con la Cei Fu una battaglia piuttosto dura, come lo è adesso del resto, perciò ci recammo dal presidente della Cei, cardinal Camillo Ruini chiedendo se non ritenesse che anche la Chiesa, nella sua massima autorità, si dovesse schierare. Perché o quello della scuola libera è un nostro esclusivo problema, oppure questo tragitto lungo trent’anni riguarda tutta la Chiesa. Passo dopo passo siamo riusciti a coinvolgere tutte le scuole cattoliche, gran parte dell’associazionismo cattolico e i vescovi in questa battaglia. Ricordo che Ruini in quell’occasione ci rispose che avevano i mezzi economici ma non le persone per organizzare una simile manifestazione. Dopo qualche mese Ruini prese posizione offrendo cioè una risposta coraggiosa alla nostra istanza che la libertà di educazione diventasse un tema d’interesse comune, non un semplice problema organizzativo e politico opinabile, ma una questione sulla quale il Papa – la massima autorità della Chiesa – sentisse di dover parlare al popolo cattolico.
La prima politica è la libertà
Questo è il senso del 30 ottobre. Il fatto che tutta la Chiesa intorno al suo pastore dichiari che questo tema, non solo in termini ideali, ma anche in termini di assetto politico, riguarda ogni credente; che l’esistenza di una scuola libera, di un sistema di scuole libere, un sistema misto, pubblico non statale, che questo pluralismo di scuole e della scuola, riguarda strettamente la questione della fede. È un fatto che ci conforta, perché ci fa comprendere che ciò che stiamo facendo non è solo per noi, ma per la civiltà nostra e il suo futuro. Questo è già un esito.
Dal punto di vista della battaglia politica è la dimostrazione che la testimonianza di molti intorno a noi, isolata dentro le scuole, o di scuole che economicamente faticano ad andare avanti, ha un valore e, magari, può portare all’esito possibile di condizionare l’iter della legge, sulla parità e quella, anche se è più difficile, sui cicli. Comunque che in regioni come la Lombardia e il Trentino siano in atto simili tentativi legislativi è già un esito politico.
La resistenza continua Ma il fatto che esistano persone nella scuola capaci di una testimonianza di libertà, qualunque sia il tipo di scuola che uscirà dalla riforma, renderà possibile un tentativo. Perché finché ci sarà una scuola libera, finché in una scuola statale, per quanto soffocata da un clima di oppressione, ci sarà qualcuno che capisce il valore di una testimonianza vorrà dire che sarà comunque insegnare qualche cosa di libero. Un esito, cioè, sarà comunque possibile: l’esistenza di uomini liberi che continuino questa battaglia. Che, infatti, continua. E qualora cambierà il Governo, spero che chi salirà al potere si ricordi che la prima cosa da fare sarà cambiare una legge sulla scuola iniqua, che non porta alla parità, come quella di Berlinguer.
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