
Nel nord del Mali non c’è più neanche un prete per dire Messa. «Restano bombe e attentati»

Nel nord del Mali la popolazione sta cercando di tornare alla normalità, ma deve ancora fare i conti «con bombe e attentati kamikaze». Padre Germain Arama, responsabile delle finanze della diocesi di Mopti, è testimone di questo tentativo di ricostruzione da parte di un paese arrivato a un passo dal diventare la nuova Somalia.
JIHADISTI E FRANCESI. Dopo 40 anni durante i quali il Mali era diventato un modello in Africa, la pace è stata rotta nel gennaio 2012 dalla ribellione dei Tuareg nel nord del paese, sfociata a marzo nella destituzione da parte dell’esercito del presidente democraticamente eletto, Amadou Toumani Touré. In poco tempo alcuni gruppi Tuareg, insieme ai jihadisti di Ansar Dine, si sono appropriati dei territori settentrionali dello Stato. Per evitare che il Mali diventasse la nuova Somalia, nel gennaio del 2013 la Francia è intervenuta (Operazione Serval) nella sua ex colonia aiutando l’esercito locale a riconquistare le città di Timbuctu, Kidal, Gao e Bamako.
PACE E ATTENTATI. Cacciati i terroristi, a luglio è partita la missione di stabilizzazione dell’Onu (Minusma), che ha anche garantito regolari elezioni, vinte dall’attuale presidente Ibrahim Boubacar Keita. A cinque mesi dalla conclusione degli accordi di pace di giugno 2015, nei quali anche l’ultimo gruppo ribelle Tuareg aveva trovato un compromesso con il governo, a novembre dell’anno scorso l’hotel Radisson Blu della capitale è stato attaccato dai jihadisti. L’obiettivo era colpire i francesi.
NESSUN PRETE. «La situazione nel nord è ancora difficile», ammette padre Arama. «Ci sono ancora bombe lasciate qua e là e attentati. Il lavoro pastorale per ora è sospeso, non ci sono sacerdoti residenti nel nord. L’unico rimasto per celebrare la Messa di tanto in tanto è stato costretto ad andarsene. Ora a volte raggiunge il luogo con una giornata di auto ma non può restare».
DUE GRUPPI DI JIHADISTI. Due distinti gruppi di jihadisti hanno cercato di impossessarsi del Mali: «Alcuni si sono uniti ai ribelli per ottenere l’indipendenza del nord del paese, conosciuto come Azawad», continua il sacerdote parlando con Aid to the Church in Need. «Altri volevano rendere tutto il Mali islamico ma non ce l’hanno fatta. Alcuni di loro però non sono fuggiti, sono ancora tra noi. Ed è il motivo per cui ci sono ancora attentati suicidi».
«SERVE RICONCILIAZIONE». Che cosa serve oggi al Mali? Conclude padre Arama: «Riconciliazione. Molti cristiani hanno perso i loro familiari. Molti musulmani pure. Ora la gente deve riconciliarsi e se noi, come cristiani, vogliamo una pace duratura, dobbiamo affrontare questo processo. È inevitabile».
Foto chiesa Acn
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