«Non sono una partigiana, ma una patriota». La fede e il coraggio di Paola Del Din

Di Giuseppe Beltrame
16 Aprile 2025
Intervista all'eroina della Resistenza tra le fila della Brigata Osoppo che è stata citata da re Carlo nel discorso alla Camera. Quella volta che rischiò la vita su un aereo: «Non avevo paura, mi ero comunicata e confessata pochi giorni prima»
Paola Del Pin festeggiata in Piazza Libertà a Udine in occasione delle celebrazioni per i suoi cento anni, 2 settembre 2023 (foto Ansa)
Paola Del Pin festeggiata in Piazza Libertà a Udine in occasione delle celebrazioni per i suoi cento anni, 2 settembre 2023 (foto Ansa)

«Per la verità, non me l’aspettavo». Ci risponde al telefono la voce tenace di Paola Del Din, 101 anni, unica Medaglia d’oro al valor militare della Resistenza ancora in vita e prima paracadutista italiana della Seconda guerra mondiale. Una che il coraggio, per dirla in friulano, ce l’ha «tai vues» (nelle ossa), tanto da essere celebrata anche da Sua maestà Re Carlo d’Inghilterra nello storico discorso a Camere riunite del 9 aprile a Montecitorio.

«Non chiamatemi partigiana, io sono semplicemente una patriota – sottolinea subito -, perché l’Italia è per tutti, non solo per una parte». Poi ci racconta che lei il Re ha avuto modo di conoscerlo di persona: «Quando era ancora principe, ci vedemmo brevemente in Inghilterra a una riunione commemorativa del Soe, lo Special operations executive britannico di cui divenni agente durante la guerra».

Anche Giorgia Meloni non manca occasione per rinnovarle la sua stima, confermata da numerosi incontri pubblici e dalla lettera al Corriere della Sera del 25 aprile 2023, dove la definisce «una donna straordinaria». Del resto la premier, come anche la patriota – non nuova a diverse polemiche con Anpi sull’argomento -, persegue da anni il tentativo di rendere un patrimonio nazionale l’esperienza della Resistenza, fino ad oggi considerata una bandiera ad appannaggio unico della sinistra.

La morte del fratello

La storia di Paola Del Din si lega a stretto giro alle forze armate inglesi. All’epoca dei fatti, nel 1944, aveva 21 anni. Suo fratello Renato, da cui il suo nome di battaglia “Renata”, era caduto 22enne in un’azione partigiana contro una caserma fascista a Tolmezzo pochi mesi prima. L’uomo era uno dei fondatori della Brigata Osoppo, il gruppo della Resistenza di matrice prevalentemente “cattolica” e militare in Friuli, nonché vittima dell’eccidio di Porzûs e del Bosco Romagno. Nell’occasione 18 partigiani osovani persero la vita per mano dei membri di un comando dei Gap, formazione legata al Partito comunista italiano.

Sull’esempio di Renato, anche Paola nel 1944 si aggregò alla Osoppo. «Era già la donna tenace e dotata di grande rigore morale e forza di volontà che oggi conosciamo», spiega a Tempi Jurij Cozianin, responsabile della Biblioteca-Archivio “Movm Renato Del Din” dell’Associazione partigiani “Osoppo-Friuli” (Apo) e autore di numerosi articoli e saggi sulla storia osovana. Alla morte del fratello la giovane chiese di «fare qualsiasi cosa utile alla causa per la quale Renato ha dato la vita». A pochi giorni di distanza, nell’estate del 1944, i tedeschi incendiarono il Castello Ceconi, sito a Pielungo in Val d’Arzino e sede del comando di montagna della Osoppo.

Sergio Mattarella saluta Paola Del Din in occasione del Centenario della fondazione del Gruppo delle Medaglie d'oro al Valor Militare d'Italia, Roma, 12 Aprile 2023 (foto Ansa)
Sergio Mattarella saluta Paola Del Din in occasione del centenario della fondazione del Gruppo delle Medaglie d’oro al valor militare d’Italia, Roma, 12 Aprile 2023 (foto Ansa)

Le due missioni

«Il castello era ancora fumante – spiega Cozianin – quando la missione del Soe britannico aggregata alla Osoppo convocò Paola su indicazione di Candido Grassi, il comandante degli osovani». L’eccentrico capo della missione Manfred Czernin, “Manfredi” per gli italiani, le assegnò il compito di portare alcuni documenti segreti a Roma, oltre la linea del fronte. La donna in pochi giorni portò a termine la sua missione solitaria, rischiando la cattura e la condanna a morte certa.

Paola proseguì poi il suo viaggio, indirizzata a Monopoli, dove era allocato il quartier generale del Soe in Italia. Qui chiese e ottenne prima di tutto la liberazione del padre Prospero, ufficiale alpino catturato sul fronte greco e prigioniero degli inglesi in India. Venne quindi aggregata ai corsi di paracadutismo degli agenti britannici e italiani, con l’intento di tornare in Friuli per via aerea. «La sua missione venne rimandata una decina di volte per svariate ragioni – precisa Cozianin -, per lo più legate al maltempo, alle avarie dell’aereo e alla contraerea tedesca. Infine il lancio avvenne con successo il 9 aprile del 1945». Esattamente ottant’anni dopo Re Carlo ne tesseva le lodi in Parlamento.

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«Solo il mio dovere»

All’atterraggio la donna si procurò la frattura di una caviglia e lo schiacciamento di alcuni dischi vertebrali. «Dimenticai di sfilare i guanti di lana e le corde mi scivolarono dalle mani, così impattai con troppa forza sul terreno», raccontò tempo dopo. In Friuli poté riabbracciare la madre Ines, imprigionata a Udine dalla polizia nazifascista a causa delle scelte patriottiche dei figli. La famiglia si riunì definitivamente il primo maggio 1945, giorno della Liberazione del Capoluogo friulano, quando anche Prospero Del Din fece ritorno in città al seguito delle truppe alleate.

«Feci solo il mio dovere, quello che mi sembrava più giusto», ci dice oggi la donna, che gli anni seguenti si laureò in Lettere a Padova. Tornata in Friuli dopo il perfezionamento degli studi in America, si sposò e mise al mondo quattro figli. Cominciò a insegnare nelle scuole medie di Udine, continuando per tutta la vita a testimoniare la sua esperienza nelle scuole e negli incontri pubblici. Del resto non le mancano gli episodi da raccontare, di cui ci dà prova al telefono. «A ottant’anni di distanza ancora ricordo il terrore negli occhi di un giovane comunista su un aereo di guerra. Di quattro motori ne era rimasto solamente uno funzionante – ci racconta -, lui era disperato. Io ero tranquilla, candidamente dissi: “Non ho paura, mi sono comunicata e confessata pochi giorni fa”».

Paola Del Pin, in uniforme britannica, al fianco del padre Prospero in divisa da ufficiale alpino, 1945
Paola Del Pin, in uniforme britannica, al fianco del padre Prospero in divisa da ufficiale alpino, 1945

La storia di libertà di un popolo

«Ancora oggi Paola Del Din ha una straordinaria capacità di interagire con i giovani – spiega a Tempi Roberto Volpetti, Presidente dell’Apo, che risponde al termine di un evento a cui era presente anche la donna -. Colpisce il suo modo di fare lucido e diretto che permette di entrarci subito in empatia».

La patriota è una delle ultime testimoni di quello che è stata la Brigata Osoppo-Friuli. «Fu la grande storia di libertà di un popolo di fronte all’occupazione tedesca e quella potenziale del regime comunista jugoslavo – continua Volpetti -. Da piccola brigata autonoma che era, si ingrandì fino a comprendere alla fine della guerra sei divisioni. I suoi leader erano alpini e sacerdoti di cui le persone si fidavano, punti di riferimento per tutti». A testimonianza di ciò il motto che li guidava: «Pai nestris fogolârs» (per i nostri focolari).

«L’intento era difendere la propria terra senza aspettarsi niente da nessuno. Questa esperienza fu poi generativa, non a caso i primi due presidenti di regione del dopoguerra erano stati partigiani osovani (Alfredo Berzanti e Antonio Comelli ndr) e l’ossatura della nostra classe dirigente fino agli anni Ottanta veniva da lì. A noi spetta il compito di trasmettere quella memoria, quel fuoco che animò gli uomini e le donne del tempo, come ha sempre fatto Paola Del Din».

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