
Non si uccide così anche la ricerca?
Il ragioniere centrale dello Stato si è recato al Massachussets Institute of Technology per spiegare che il ministero competente per la ricerca – che come è noto è il ministero dell’Economia – ha deciso, sua sponte, di considerare tutto il sistema universitario e il Cnr obsoleti e perciò, già come Napoleone fece con l’Inria, vuole fondare il nuovo istituto di alta tecnologia (Itt). Tale nuovo parto dovrebbe permettere all’Italia quel salto nella ricerca scientifica e tecnologica che tutti ritengono necessario. Come può avvenire questo? Si è deciso di dare un miliardo di euro in dotazione, totalmente insufficiente per tale impresa, ma capace di assestare un ulteriore duro colpo al sistema della ricerca e della didattica. Non mancano i solerti intellettuali che sulle prime pagine dei quotidiani nazionali ci spiegano come tutto questo sia profondamente razionale, provvidenziale, salvifico.
Due sono i commenti possibili. Il primo nasce dall’interessante convegno di sabato scorso organizzato da Universitas University, in cui docenti e studenti soprattutto dell’università milanese (tra cui i rettori Fontanesi e De Cleva), si sono interrogati sul futuro dell’università. Resistendo a una possibile ritorsione, non sono andati al Fondo Monetario Internazionale per fondare un nuovo ministero dell’Economia, alternativo a quello esistente. Più modestamente dei contabili di stato, non sono usciti dal loro seminato e hanno concluso che è difficile andare avanti senza soldi e senza una reale autonomia. Come si fa a fare ricerca e cultura se autorità “non competenti” impediscono nel centralismo imperante che le università possano reperire fondi vendendo servizi, accettando donazioni, fissando tasse proporzionali ai costi (con adeguate borse di studio)? Come fa il nostro sistema universitario, che già assicura una buona istruzione di massa, a specializzare se i dottorati non sono finanziati, se non è partita la laurea specialistica, se la riforma pensa di preparare indifferentemente in tre anni un filosofo, un giurista, un ingegnere?
Come si fa a cercare la qualità, se il valore legale del titolo di studio appiattisce l’offerta formativa? Quando si vuole una democrazia decisionista, bisogna prendere decisioni sensate nell’ambito delle proprie competenze, senza pretendere di occuparsi di tutto. Bisogna fidarsi di chi lavora, senza scavalcarlo. A Milano si dice: ofelé fa el tò mestè (per i non milanesi: “pasticcere, fai il tuo mestiere”).
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!