Non serve essere “giusti” per partecipare alla costruzione della cattedrale

Di Emanuele Boffi
19 Aprile 2019
Polemiche contro i ricchi che si mobilitano "solo" per Notre Dame. Quanto moralismo. Le osservazioni di Bagnasco, Maddalena, Mingardi
Il tetto di Notre-Dame in fiamme

Le critiche alle donazioni per la ricostruzione di Notre Dame ricordano un poco l’obiezione di Giuda che rimproverò Maria di sprecare il prezioso olio di nardo per profumare i piedi di Gesù («perché non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri?»). Erano passate poche ore dal crollo del tetto della cattedrale che alcuni facoltosi imprenditori francesi avevano messo mano al portafoglio e raccolto un miliardo di euro. Sono passati pochi giorni e sono partite le polemiche contro i “ricchi”, accusati di farsi belli con le donazioni per Notre Dame, ma di essere molto meno generosi quando si tratta di pensare ai “poveri” (nella versione italiana, “ai migranti”).

Assegni da capogiro

«Staccano assegni da capogiro» per la chiesa ma non s’interessano «del disagio sociale che si vive nel paese», hanno detto i gilet gialli: la loro è «generosità selettiva». E così anche Philippe Martinez, segretario generale della Confederazione generale dei lavoratori (Cgt): «Con un clic 100 milioni, 200 milioni. Ciò dimostra anche le diseguaglianze in questo Paese, che denunciamo spesso. Se sono capaci di dare decine di milioni per ricostruire Notre Dame, che la smettano di dire che non ci sono soldi per rispondere all’emergenza sociale».

A rinfocolare le accuse anche il sistema francese delle detrazioni che prevede un rimborso fino al 90 per cento per donazioni in favore di beni culturali considerati «tesori nazionali», tanto che la famiglia Pinault ha annunciato che rinuncerà agli sgravi fiscali.

Il nobile e il balordo

Sono polemiche assurde che rivelano la forma mentis di chi le solleva. E i migranti, allora? E il clima, allora? Per i pasdaran c’è sempre un “allora” più nobile da contrapporre a qualsiasi tipo di mobilitazione. Davvero viviamo nell’età del risentimento, come dice il filosofo inglese Roger Scruton, una società che riesce a farsi il sangue amaro anche quando qualcuno si mostra generoso. Possibile che le famiglie Pinault, Arnault, Bettencourt-Meyers, il gruppo Lvmh, L’Oreal e Total si siano mobilitati solo per un gretto calcolo o per rifarsi l’immagine? Possibile. E allora? Pensate forse che il Duomo di Milano sia stato edificato solo con l’obolo della vedova o anche grazie all’intervento dei signorotti del tempo, usurai, capitani di ventura, balordi della peggior specie e risma? Nella storia della cristianità, le chiese sono state costruite grazie a santi e farabutti, ricchi e poveri, prostitute, ubriaconi, poco di buono. Al loro interno si trovano opere d’arte frutto dell’ingegno di artisti come Caravaggio, ricercato come assassino, che usava donne di malaffare come modelle per raffigurare la Madonna.

La Chiesa ha sempre condannato i peccati e invitato alla redenzione i peccatori. Il mondo moderno, al contrario, non riconosce più i peccati, ma ce l’ha a morte coi peccatori. Se poi sono pure ricchi, sono davvero spacciati.

Realtà più grande di noi

Sulla questione esistono almeno due osservazioni da fare. La prima l’hanno messa bene a fuoco il cardinale Angelo Bagnasco in un’intervista ieri alla Stampa e Giovanni Maddalena in un articolo sul Foglio. Entrambi hanno rilevato come l’episodio del crollo del tetto della cattedrale sia stato vissuto come un evento emozionale («un’emozione al quadrato», scrive Maddalena) e che, certamente, nell’era dove tutto è etereo e istantaneo come un post sui social («l’emotività dilagante che si fa criterio di giudizio», ha notato il cardinale), anche l’incendio di Parigi non si è sottratto a questa angusta lettura. E, tuttavia, non è stato solo questo. Perché della gente s’è riunita in piazza per pregare, riconoscendo così, ha detto Bagnasco, che possediamo dentro di noi un «cuore», «un’intuizione» che ci fa fare «esperienza diretta che la realtà è sempre più grande di noi».

E, come ha scritto Maddalena,

«tra tutte queste emozioni che spesso hanno alterato e alterano la cognizione effettiva delle cose, un altro insegnamento comunicativo, positivo, rimane. Che cos’è che ci spiace davvero quando vediamo la distruzione di un’opera vista, ripresa, disegnata, immaginata tante volte? Ciò che viene ferito è il livello di significato delle cose, il piano simbolico, quello dove si stratificano i valori della storia».

La mobilitazione dei ricchi

Seconda osservazione. Ieri, sempre sulla Stampa, Alberto Mingardi ha scritto un articolo molto interessante (Se i mercati entrano nella cattedrale), nel quale spiega perché in Europa esista «una certa ostilità nei confronti del mecenatismo privato», relegato a dare il proprio contributo solo agli eventi culturali.

La colletta d’alto bordo per Notre-Dame suggerisce che le cose possono andare diversamente. L’unicità di un evento così spettacolare, inaspettato, impensabile ha portato tutti a sentirsi coinvolti. Ma non è detto che questo non possa avvenire anche in circostanze meno tragiche, se non ci si è convinti che il contributo richiesto dalla società si esaurisca col prelievo fiscale. Le persone di successo possono sentirsi chiamate a fare qualcosa per gli altri: ma è difficile che accada se sono considerate dei bancomat che camminano.

Al contrario di chi li colpevolizza per il loro scarso impegno in altre cause, Mingardi volge la questione in positivo: «I Pinault e gli Arnault si sono mobilitati perché l’hanno ritenuto giusto, perché hanno pensato che servisse, perché hanno pensato che fosse onorevole».

L’oro e il rame

E se fosse così sempre? Se cioè si valorizzasse un sistema che incentiva la mobilitazione, lo spirito di comunità, l’erogazione liberale su tutto, dal tetto della cattedrale fino a quello della scuola, l’assistenza, la cura e quant’altro? Se cioè, una volta tanto, anziché pensare che debba essere sempre lo Stato a fare tutto (welfare state), lo Stato si limitasse a favorire il più possibile le energie della società (welfare society)? Va notato, infatti, che ad essersi mobilitati per la cattedrale non sono stati solo i miliardari francesi, ma anche tante persone comuni, non facoltose, ognuno secondo le sue possibilità (un bell’esempio di quella “cultura del dono” di cui parla Bernardino Casadei sull’ultimo numero di Tempi). Ancora una volta, la cattedrale sarà costruita con la moneta d’oro del ricco signore e con quella di rame della vedova.

Foto Ansa

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