
Non è lui l’obiettivo di Soru
“Menzus manchet su pane che sa justiscia”. È meglio fare a meno del pane che della giustizia, recita un vecchio detto della Barbagia. La secolarizzazione della società sarda non è riuscita a rimuovere del tutto i princìpi della cosiddetta “balentia”, quel codice di comportamento imperniato sull’onore, lo sprezzo del pericolo e la volontà di dimostrare il coraggio in pubblico. Un altro sentimento annidato nel cuore dei sardi è la diffidenza verso “s’istranzu”, lo straniero: chiunque arrivi da oltre il mare è portatore di costumi e intenzioni ostili all’isola. Su questo brodo di cultura si regge la famigerata tassa sul lusso voluta dal governatore della Sardegna Renato Soru, che prevede un’imposta sui beni ad uso turistico dei non residenti. Una patrimoniale su seconde case, aerei e barche, ossia gli strumenti del benessere di chi si trasferisce in Sardegna per fare le vacanze. L’impianto ideologico del provvedimento è completato da un altro fondamento di estrazione moderna: l’egualitarismo. L’espressione adoperata con maggiore frequenza nel centrosinistra isolano è stata «redistribuzione delle ricchezze»: è giusto che Briatore e compagni sborsino qualche spicciolo per sostenere un territorio che li ospita e che si trova in grave ritardo rispetto alle zone dalle quali provengono. Spiega Stefano Maullu, consigliere regionale lombardo di origine sarda: «Soru ha un problema di fondo: deve dare una risposta al senso di balentia dei sardi. Cerca di farlo sfidando i ricchi del Nord». Questa miscela di tradizionalismo e lotta di classe sembra funzionare: la grande stampa italiana sta sostenendo con passione l’iniziativa del fondatore di Tiscali. Il placet di Giulia Maria Crespi, presidente del Fondo per l’ambiente italiano, all’ambientalismo di Soru è stato riportato da tutti i principali giornali, gli stessi che hanno documentato il flop della festa organizzata da Briatore contro la legge sul lusso.
A nuoto fino a riva
Se la cornice del provvedimento è di natura ideologica, ben diversi sono gli obiettivi che si pone il governatore. Spiega Paolo Maninchedda, che ha fondato assieme a Soru il partito Progetto Sardegna per poi abbandonarlo e diventare l’anima critica del centrosinistra sardo, si tratta di un’operazione politica: «Agli inizi dell’anno – ricorda – si è sviluppato un contenzioso con lo Stato: è emerso che alla Regione non erano stati corrisposti tributi per 5 miliardi di euro. Il governo ha iniziato a prendere tempo e il Consiglio regionale ha risposto con la legge. È stata una iniziativa per porre in evidenza la questione». Un atto provocatorio, dunque, realizzato in fretta e furia per obbligare il potere romano a prendere sul serio le richieste sarde. Nel centrosinistra non sono mancate perplessità verso questo atto dirompente ma, com’è costume da quando Soru ha vinto le elezioni, al momento del voto non ci sono state defezioni.
Per capire quali siano gli effetti della legge basta fare un giro per l’isola: il calo degli arrivi riguarda tutte le realtà turistiche. Secondo il Consorzio Rete dei Porti Sardi al 30 giugno si è registrato un crollo del 71 per cento degli arrivi delle barche. Al 19 luglio le barche in meno rispetto all’anno precedente arrivavano al 92 per cento. I dati riguardano tutta la costa eccetto Porto Cervo: nel centro del turismo d’élite – secondo la Regione – le presenze non sarebbero diminuite. In realtà molti diportisti non hanno rinunciato a venire nell’isola, ma, pur di evitare di pagare il balzello, preferiscono restare a largo: «In Costa Smeralda – racconta Adriano Di Benedetto, proprietario di una casa a San Teodoro – ci sono tanti yacht che non attraccano. Se vogliono arrivare in spiaggia i padroni prendono il gommone oppure ci arrivano a nuoto».
Un balzello sul ceto medio
Difficile, comunque, imputare esclusivamente al nuovo corso della Regione i risultati inferiori alle aspettative della stagione turistica: anche la progressione dei prezzi ha contribuito a spingere verso altri lidi le masse dei villeggianti. «Prezzi alti e tassa sul lusso stanno creando l’idea che in Sardegna può venire solo chi può permettersi di pagare cifre enormi – sostiene l’urbanista Gian Battista Masia – ma in questo modo si allontanano tante persone titolari di redditi modesti desiderose di conoscere la realtà sarda. Le ricadute sull’economia di questo provvedimento rischiano di essere gravi: il turismo ha creato un indotto enorme fatto, oltre che di commercio, di idraulici, elettricisti, camerieri. Il modello di sviluppo dell’industrializzazione è in crisi fin dagli anni Settanta, l’agricoltura sconta la concorrenza dei paesi in cui vigono costi di produzione bassissimi: resta solo il turismo come motore di sviluppo dell’isola».
A bloccare gli effetti della legge antilusso potrebbero essere i ricorsi intentati contro la Regione da parte dello Stato presso la Corte costituzionale e da parte del Comune di Olbia presso la Comunità Europea. Diversi, infatti, sono gli aspetti contradditori della nuova disciplina: «Pago già l’Ici e tutte le imposte comunali al Comune di San Teodoro – dice Di Benedetto – e ora mi trovo a pagare un’ulteriore tassa». Altro aspetto critico sono le plusvalenze da pagare, in caso di cessione della casa, alla Regione: anche in questo caso si tratta di un secondo versamento dopo le tasse pagate allo Stato. Ma la contraddizione più evidente è data dal sistema di tassazione per le seconde case: chi possiede un appartamento a Cala di Volpe, località preferita dai vip, paga la stessa cifra di chi possiede un tetto a Platamona, da sempre meta del turismo popolare. In base ad un calcolo della Casa delle Libertà sarda sarebbero circa 300 mila le seconde case nell’isola: di queste l’80-85 per cento è costituito da bilocali inferiori a 60 metri quadrati. Ciò significa che la maggior parte dei nuovi contribuenti creati da Soru non sono super ricchi ma esponenti della mitica classe media, che magari sono riusciti a coronare il sogno di comprarsi una casa in Sardegna dopo anni di sacrifici.
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