
Non è un caso che la rinuncia di Benedetto XVI sia stata annunciata nel giorno dei Martiri d’Otranto
La rinuncia al Pontificato da parte di Benedetto XVI non ha permesso di conferire il giusto peso all’annuncio, dato nella medesima circostanza dal Papa, della canonizzazione dei Martiri di Otranto. Eppure non è forzato immaginare un nesso fra quanto accaduto a Otranto nel 1480 e quanto accaduto nella sala del Concistoro qualche giorno fa. Gli Ottocento Martiri – insieme con coloro che hanno combattuto e sono caduti sulle mura di Otranto per resistere agli Ottomani – avrebbero potuto vivere di più: sarebbe bastato arrendersi e abiurare. Hanno scelto la Fede, ritenendola più importante di qualche decennio o di qualche anno di vita terrena, e per questo sono entrati nella Storia. E il tempo per loro in qualche modo si è fermato: chi entra nella cappella della cattedrale di Otranto che custodisce i loro resti trova una teca, esposta all’aria e visibile da chiunque, che reca all’interno l’intestino di un Martire con il cibo, ancora inalterati nonostante siano trascorsi più di cinque secoli, e una spiga di grano raccolta dalla pietra sulla quale, uno per uno, gli Ottocento sono stati decapitati.
Anche Benedetto avrebbe avuto tempo, fino alla morte, per proseguire il Pontificato; ha ritenuto più importante «il bene della Chiesa», ha rinunciato a quel tempo e per questo è entrato nella Storia. I Martiri hanno avuto l’umiltà di far venire Dio prima di sé; il Papa ha avuto l’umiltà di far venire la Chiesa, e quindi la barca di Dio, prima di sé. Quello dei Martiri è stato un gesto di fede semplice e diretto, nonostante quasi tutti loro fossero analfabeti; quello di Joseph Ratzinger è stato pur esso un gesto di fede semplice e diretto, nonostante egli sia uno degli uomini più colti del nostro tempo. Nulla nella Chiesa accade per caso; e spesso chiamiamo “caso” quel che i nostri limiti impediscono di vedere come opera della Provvidenza.
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