
Non è stato un hashtag a unire la Nigeria, ma il sacrificio di trecento ragazze rapite da Boko Haram

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile degli uomini con l’uniforme militare sono entrati nel loro dormitorio. «Venite con noi, non abbiate paura: siamo soldati e siamo qui per aiutarvi», hanno detto con tono affabile. Le hanno fatte uscire e solo quando hanno cominciato a sparare all’impazzata e ad appiccare il fuoco alla scuola gridando «Allahu Akbar», Dio è grande, le studentesse nigeriane della scuola secondaria di Chibok hanno capito che non era l’esercito ma Boko Haram. I terroristi islamici le hanno obbligate a salire su sette camioncini Toyota carichi di viveri e bestiame e le hanno portate nell’intricata foresta di Sambisa, che si estende per 60 mila chilometri quadrati, lasciandosi alle spalle decine di morti e almeno 170 case rase al suolo.
Un mese dopo uno degli eventi più tragici della storia nigeriana, di quelle ragazze si sa poco o nulla: di sicuro sono più di 300, ma il numero esatto non lo conosce nessuno. Hanno tra i 15 e i 18 anni e a breve avrebbero dovuto sostenere l’esame di fine anno. Non sono solo figlie di Chibok, città di circa 60 mila abitanti nello Stato settentrionale di Borno: venivano anche da altre città, dove le scuole sono state chiuse proprio per timore degli attacchi di Boko Haram. In un mese nemmeno una ragazza è stata salvata, solo 53 sono riuscite a scappare saltando dai camion in corsa.
Se è vero quanto raccontano due intermediari del governo che sarebbero in contatto con i terroristi, due studentesse sono morte per il morso di un serpente velenoso mentre altre 276 sono tuttora nelle mani degli islamisti.
Boko Haram, che letteralmente significa “L’educazione occidentale è peccato”, sconvolge con attentati e rapimenti la Nigeria fin dal 2009 ma negli ultimi anni le sue milizie si sono fatte più violente. Solo nel 2014 hanno già ucciso migliaia di persone con attacchi mirati a chiese, moschee e villaggi. Il loro obiettivo dichiarato è cacciare i cristiani dal nord del paese per trasformarlo in un califfato guidato dalla sharia.
Da un anno colpiscono con maggiore frequenza le scuole cristiane e statali per impedire che i ragazzi vengano educati secondo criteri non islamici. Per questo il governo è stato costretto a chiudere la maggior parte degli istituti degli Stati settentrionali di Adamawa, Borno e Yobe concentrando gli alunni in poche strutture blindate dall’esercito. Ma non è bastato.
La politica imbarazzante
Il paese più popoloso ed economicamente potente dell’Africa è rimasto attonito alla notizia del rapimento. «È una tragedia», ha tuonato il presidente della Conferenza episcopale Ignatius Kaigama. «Il governo deve fare qualcosa». Ma fino ad ora la politica ha saputo solo offrire uno spettacolo desolante e imbarazzante: il presidente Goodluck Jonathan ha puntato il dito contro il governatore di Borno perché non ha ordinato di cercare le ragazze, questo gli ha risposto accusandolo di essere in combutta con i terroristi.
Nessuno capisce perché l’esercito non sia mai entrato nella foresta per scovare gli islamisti, perché la scuola non fosse protetta in modo adeguato, perché a molti dei soldati che dovevano fare la guardia ai cancelli sia stato ordinato poche ore prima dell’attacco di abbandonare la loro postazione, perché seppur lo scontro a fuoco sia durato cinque ore non siano stati inviati rinforzi e perché le forze armate abbiano mentito sul numero delle ragazze rapite e sul loro presunto salvataggio, mentre in realtà non le avevano neanche cercate.
Domande che non trovano risposta, mentre emergono particolari inquietanti sull’identità delle ragazze e sulla loro sorte. «C’è un motivo per cui i terroristi hanno attaccato la città di Chibok», spiega un comunicato della Christian Association of Nigeria (Can), che ha diramato i nomi di 180 ragazze rapite. «È una città a prevalenza cristiana e il 90 per cento delle studentesse sequestrate è di fede cristiana. Preghiamo per la loro salvezza». In contemporanea il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha diffuso due video: nel primo si è attribuito «il rapimento delle vostre ragazze», che «venderò al mercato come schiave. Me lo ha chiesto Allah». Nel secondo ha mostrato un centinaio di loro, intente a recitare il primo capitolo del Corano, affermando: «Sono state convertite all’islam, le libereremo solo in cambio di prigionieri».
Monsignor Kaigama, come tutti i nigeriani, è spaventato ma sa che quelle parole potrebbero corrispondere a verità: «Fa molta paura pensare a ciò che sta capitando a quelle ragazze. Forse sono dentro la foresta con queste persone che per me non hanno nulla di umano, sono belve. Non sappiamo cosa stia accadendo loro in questo momento. Non so che tipo di persone possano agire in questa maniera. Dicono di fare la guerra nel nome di Dio, ma non so che Dio abbiano».
Non è la prima volta che i terroristi rapiscono delle ragazze. Liatu, giovane cristiana sequestrata lo scorso anno e miracolosamente fuggita, ha raccontato come si vive in prigionia: «Sgozzavano uomini e donne. Di fronte a me ne hanno uccisi 50». Anche Liatu è stata portata nella foresta di Sambisa, rifugio di Boko Haram al confine con il Camerun: «Ci nascondevamo in caverne e foreste. Mi hanno chiesto se sono cristiana o musulmana. Ho risposto: “Cristiana”. Allora l’undicesimo giorno di prigionia mi hanno portato un uomo e mi hanno detto che gli piacevo e che dovevo convertirmi all’islam per sposarlo».
«Convertitevi o vi sgozziamo»
Una delle 300 studentesse che è riuscita a lanciarsi dal camion ha affermato che le ragazze vengono stuprate dai miliziani e minacciate: «Convertitevi o vi sgozziamo». Questo è quello che «noi nigeriani non avremmo mai pensato potesse accadere», ha dichiarato il vescovo della capitale Abuja John Olorunfemi Onaiyekan. «Tutto il paese è commosso per queste ragazze: che abusi stanno subendo? Nessuno lo sa».
Il rapimento, «l’apice dell’abominio», ha prodotto però un piccolo miracolo in Nigeria: un paese spesso diviso da scontri etnici e religiosi si è ritrovato unito. Insieme ai cristiani, anche diversi imam in tutto il paese hanno condannato la violenza di Boko Haram e non c’è madre nigeriana, musulmana o cristiana, che non sia stata scossa dal rapimento, come a dar vita alle parole del vescovo: «Questo non è il tempo di cominciare con la politica, questo non è neanche il tempo di continuare con cristiani contro musulmani: si tratta di persone, di giovani ragazze» da ritrovare.
Ecco perché migliaia di donne hanno sfilato in corteo il 30 aprile vestite di rosso per le strade di Abuja, chiedendo al governo di fare di tutto per liberarle. La marcia è stata organizzata dalla moglie del governatore di Borno, Hajiya Nana Kashim Shettima: «Mettiamo da parte tutte le differenze di fede, etniche, prendiamoci tutte per mano per liberare queste ragazze». La marcia è stata subito ridotta allo slogan #BringBackOurGirls e trasformata in una facile campagna mediatica internazionale, ma è stato il sacrificio di oltre 300 ragazze a unire quelle persone, non un hashtag.
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1 commento
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Stiamo molto attenti alle iniziative della Francia. ! L’ultima iniziativa dei cugini francesi è stata la guerra alla Libia e ne stiamo subendo noi gli effetti . La “grandeur” francese l’hanno sempre pagata gli altri!