
Non è dalle idee politiche che si giudica un allenatore. Chissà perché non vale per Di Canio
«Quando mi è arrivata la telefonata del Sunderland, ho sentito la pancia andare a fuoco. Sarei venuto qui anche a nuoto». Lo stile diretto di Paolo Di Canio non si smentisce nemmeno nel giorno di presentazione davanti alla stampa della sua avventura coi Black Cats. Conferenza stampa all’alba, giornalisti convocati alle 8 del mattino per dare il via ad un nuovo lavoro con l’obiettivo, difficile ma non proibitivo, di invertire la triste rotta di risultati del Sunderland per arrivare a maggio ancora in Premier League. E cercare di venir fuori il prima possibile dal turbinio che in due giorni ha smosso le acque del club biancorosso, in seguito alla nomina del nuovo manager dopo l’esonero di Martin O’Neill.
L’EX-MINISTRO LABURISTA SI DIMETTE. I fatti sono noti: Di Canio diventa allenatore del Sunderland e il direttore esecutivo del club David Miliband, ex-ministro degli esteri laburista del governo Blair, lascia la squadra in rotta con le idee politiche di estrema destra dell’ex-attaccante del West Ham. Anche alcuni tifosi dei Black Cats non hanno digerito l’arrivo di quel tecnico così schierato esprimendo sui social network la loro contrarietà, con le contemporanee richieste al tecnico romano dell’associazione contro il razzismo nel calcio di appurare la sua posizione nei confronti di persone di altre etnie. «Vogliamo parlare di razzismo? È qualcosa di stupido e ridicolo», si è difeso lui dal sito del nuovo club, senza però ripudiare gli ideali fascisti che lo hanno sempre accompagnato nella sua vita. «La gente che mi conosce lo sa bene. In Inghilterra i miei migliori amici erano Trevor Sinclair e Chris Powell (entrambi di colore, ndr), e possono dirvi tutto del mio carattere».
GENIO E SREGOLATEZZA. Così il polverone mediatico ha offuscato il grande passo del giovane e promettente tecnico, che passa in poco più di un mese dalla League One alla Premier League. Avrà a disposizione sette giornate per cercare di uscire dalla nuvola di polemiche, far ricredere i suoi nuovi tifosi e affermarsi per il grande professionista di calcio che è. Perché questo è Di Canio: è stato un giocatore unico nel suo modo di giocare e vivere lo sport, che ora prova a replicare anche da tecnico. Attaccante sempre tutto d’un pezzo, diretto, impossibile da ridurre all’interno dei consoni temi della popolarità, che vogliono il campione bravo, pulito e simpatico. Paolo non era così, eppure piaceva ai tifosi. Da matti. Perché quando metteva gli scarpini da calcio scendeva in campo con il cuore in mano, da guerriero. Non ha mai voluto nascondere le sue idee politiche, esternate con fierezza negli anni alla Lazio; ha fatto scalpore quando spingeva l’arbitro per terra, si prendeva 11 giornate di squalifica e riceveva le critiche di tutto il mondo british; ma sapeva incantare quando tirava fuori dal cilindro delle reti da urlo, come la volé con cui punì il Wimbledon nel 2000, uno tra i gol più belli di tutta la Premier. O quando ancora, davanti ad una porta totalmente vuota, fermava il pallone con le mani per permettere i soccorsi del portiere dell’Everton infortunato.
A SWINDON ANCORA LO RIMPIANGONO. E i saluti romani alla curva della Lazio? E le simpatie per Mussolini? Sono aspetti che fanno parte dell’uomo Di Canio, ma che non ne determinano il valore da sportivo, sempre appassionato e accanito nel suo lavorare. È quanto anche a Swindon, terra dove ha allenato per 21 mesi, hanno apprezzato di lui: la squadra rivitalizzata nel suo spirito battagliero, la vicinanza ai tifosi e i festeggiamenti spontanei a fine partita, la determinazione con cui mandava in campo i suoi, le pizze offerte ai supporters che venivano a spalare la neve dal campo, gli aiuti economici offerti alla dirigenza per pagare i prolungamenti dei prestiti. In pantaloncini e maglietta o a bordo campo seduto in panchina, Di Canio è molto di più delle accuse di fascismo e razzismo. «Ci siamo frequentati per due anni e non credo di aver mai parlato di politica», è stata l’essenziale e simpatica difesa di Jeremy Wray, presidente dello Swindon Town. «È vero, Paolo ha convinzioni chiare e forti. E probabilmente ha un’opinione sull’opportunità per l’Italia di restare nell’euro, sui matrimoni gay e sulla tigre siberiana in via d’estinzione. Ma non penso che siano rilevanti per la salvezza del Sunderland».
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5 commenti
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Non ho mai capito perchè salutare a pugno chiuso lascia indifferenti, mentre a mano aperta suscita ire ed arzigogolazioni politiche.
In fin dei conti nell’antica Roma si salutava così.
Fra l’altro, le figure d’un uomo e d’una donna, nudi, col braccio destro alzato ed il palmo aperto, erano incise anche sulla targhetta d’oro, lanciata dalla NASA nel secolo scorso, nello spazio al di fuori del sistema solare, su una sonda spaziale senza equipaggio, come “messaggio” ad un’eventuale civiltà extra-terrestre. Non mi risulta che la NASA fosse, all’epoca, un’organizzazione “neo-fascista”… Fuor dello scherzo: il fascismo appartiene alla storia: quei politici di sinistra, che chiamano “fascismo” qualunque posizione politica che non coincida con la loro, avrebbero bisogno d’una buona visita psichiatrica, per stabilire se il loro modo di (s)ragionare sia schizofrenico o paranoico…
Mi sembra ovvio che un allenatore vada valutato per la sua capacità d’allenare una squadra, e non per le sue idee politiche. Sempre, però, che la prima non sia “conseguenza” delle seconde… Faccio un esempio: farebbe bene o no Berlusconi, come presidente del Milan, a licenziare in tronco un allenatore “a 5 stelle”, se questi, in omaggio alle sue idee “grilline”, programmasse una “decrescita felice” (in classifica!) per la squadra che allena? 🙂
Non so perchè ma la decrescita felice mi ricorda tanto il disarmo unilaterale…
Miliband si è guadagnato la prima pagina.