Il Deserto dei Tartari

Non è colpa di Macron se lui è francese

Macron

Non ho mai creduto alla favola di Macron giovane leader carismatico figlio di una nuova era pronto a sciogliere la Francia nella nuova identità politica e di civiltà rappresentata dall’Unione Europea nemmeno quando fece suonare l’Inno alla gioia prima della Marsigliese sulla piazza antistante il museo del Louvre la sera della vittoria alle elezioni presidenziali. Uno che di cognome fa Macron (come il pasticcino specialità parigina), è nato in Piccardia, ha studiato a Sciences Po e all’Ena (la scuola di formazione da cui escono tutti gli alti dirigenti della funzione pubblica francese), sarà gollista tutta la vita anche se si è candidato coi socialisti e parla con la bandiera blu stellata della Ue alle sue spalle e dice che l’Europa è il nostro destino. Sì, lo dice anche la Merkel, lo dicono capi di Stato e di governo italiani, lo dicono i nanetti del Benelux come Jean-Claude Juncker, Guy Verhofstadt e Jeroen Dijsselbloem. Ma ognuno lo dice pensando all’interesse nazionale e a quello personale: nella testa di ognuno la Ue è rispettivamente lo strumento per affermare le velleità egemoniche della grandeur francese, l’egemonia bottegaia tedesca, l’“io speriamo che me la cavo” italiano, la naturale tendenza dei paesi piccoli e dei loro leader a far parte di entità multinazionali grandi per far lievitare il proprio peso geopolitico e la propria personale carriera politica.

È per questo che qualcuno teorizza che si potrà fare l’Europa unita solo quando la popolazione europea sarà completamente deculturata e sradicata dalle rispettive storie nazionali, e che l’immigrazione di massa è benvenuta perché l’immissione di milioni di nuovi europei estranei alla storia e alla civiltà europee è la condizione per la nascita dell’homo europaeus post-nazionale. Di conseguenza i complottisti gridano al complotto dell’attuazione del piano Kalergi, dal nome del nobile austriaco che negli anni fra le due guerre mondiali teorizzava la sostituzione della popolazione europea autoctona con immigrati asiatici e africani, perché questi ultimi sarebbero stati più docili al potere di una élite pacifista e transnazionale che li avrebbe governati senza più le guerre del passato. Ovviamente si tratta di una gigantesca bufala, nessuno sta organizzando quella che è un’immigrazione molto disorganizzata: fattori politici, economici, demografici ed antropologici profondi e di lunga durata sono all’origine di quello che sta accadendo. Ma in ogni caso Kalergi ieri e i teorici del nuovo homo europaeus oggi sbagliano: gli immigrati di oggi non perderanno le loro caratteristiche nazionali, bensì condizioneranno la politica dei paesi europei giocando sulla doppia appartenenza. Già oggi vediamo Erdogan organizzare in mezza Europa partiti di immigrati turchi che non rinunciano alla loro identità per consegnarsi al nichilismo gaio europeo. L’identità, l’appartenenza sono le cose più preziose che gli esseri umani hanno: non ci rinunceranno gli immigrati così come non ci rinunciano gli autoctoni. Avremo partiti musulmani, turchi, africani, ecc.: nell’Europa di domani le identità si complicheranno, non spariranno.

Nel frattempo, la Francia è quel paese che difende e promuove il libero commercio e il mercato unico europeo quando si tratta di acquisire industrie e attività straniere che promettono lauti profitti, ma che riscopre l’interesse nazionale e il ruolo dello Stato quando a cercare di acquistare beni francesi un po’ più importanti di Grand Marnier sono gli stranieri. I francesi comprano la Edison e la Telecom dagli italiani ma non permettono che Fincantieri acquisti i cantieri navali di Saint-Nazaire, come dieci anni fa impedirono a Enel di acquisire Suez-Electrabel. La Germania è quel paese che fa la faccia feroce quando un socio di Eurolandia sta per sfondare la barriera del 3 per cento del deficit di bilancio, ma che sfonda allegramente per anni il limite del 6 per cento di surplus commerciale, che pure è una norma Ue.

Perciò indignarsi e scandalizzarsi perché Macron non lascia passare gli immigrati clandestini che a Ventimiglia vorrebbero attraversare il confine, dichiara che la redistribuzione dei migranti dall’Italia agli altri paesi Ue deve riguardare solo i rifugiati e non chi è espatriato per ragioni economiche e sulla Libia si muove autonomamente e «scavalca l’Italia», lascia il tempo che trova e rischia di apparire patetico. Sono tutte cose che faceva e diceva anche il predecessore di Macron, e che direbbe e farebbe qualunque presidente francese. In Libia ad armare e appoggiare il generale Haftar e il suo parlamento di Tobruk, mentre il resto della comunità internazionale cercava di risolvere i problemi di Tripoli e alla fine riconosceva Serraj e il suo Consiglio presidenziale di 10 membri, era la Francia di Hollande (insieme all’Egitto e alla Russia). La Francia di Sarkozy ha voluto (con la complicità del Regno Unito e degli Stati Uniti) la caduta di Gheddafi per impedire all’Italia di Berlusconi di diventare una grande potenza del Mediterraneo grazie ai colossali accordi politici ed economici che aveva concluso con la Libia del colonnello, e per prendere il posto dell’Italia e soprattutto dell’Eni. Oggi continua a condurre la stessa politica e ha individuato in Haftar il partner ideale. Dobbiamo per questo strapparci i capelli? No di certo. Macron, come già Sarkozy, si comporta da Napoleone senza avere i mezzi e verosimilmente le capacità del còrso. Non c’è nessuna possibilità che la Francia invii da sola truppe sul territorio libico per sovraintendere agli hotspot per la cernita dei migranti africani, così come non c’è nessuna possibilità che Haftar giunga un giorno a controllare tutta la Libia. Che Serraj non sia disposto a chinare la testa di fronte al generale della Cirenaica e al suo protettore francese lo dimostra il fatto che il primo ministro di Tripoli ha fatto tappa a Roma dopo il summit a tre di Parigi. Certo, Serraj è debolissimo, ma anche se dovesse cadere chiunque in Tripolitania prenda il suo posto si appoggerà sempre a Roma per riequilibrare l’appoggio della Francia alla Cirenaica.

Dunque non strappiamoci i capelli, e finiamola anche con la sceneggiata dell’Italia offesa dall’ipocrisia dell’Europa che non è solidale con noi, in quanto non ci aiuta ad affrontare l’emergenza migranti. Eravamo noi solidali con l’Europa quando permettevamo che centinaia di migliaia di stranieri senza documenti attraversassero il nostro territorio e le nostre frontiere per raggiungere i paesi del nord Europa? “Loro” ci avevano fregato con la convenzione di Dublino che ufficialmente scaricava sui paesi di prima accoglienza (praticamente Italia e Grecia) gli oneri di gestione dei migranti irregolari, noi fregavamo loro favorendo di fatto l’emigrazione clandestina nei paesi del nord Europa di centinaia di migliaia di persone. Solo adesso che tutte le frontiere sono state sigillate in barba a Maastricht e relativa retorica ci ricordiamo del principio di solidarietà europea e chiediamo la revisione di Dublino. Molto meglio dedicarci al nostro interesse nazionale, senza ricercare conflitti aperti ma senza nemmeno rinunciare alle furbizie e alle ipocrisie che sempre accompagnano gli atti di politica internazionale. L’Italia sta cercando di inaugurare una missione navale congiunta con la marina di Tripoli per contenere l’esodo dalle coste libiche, e a questo fine sta pure cercando di “comprare” le tribù libiche. Badate bene che l’Italia, se volesse muoversi in una logica europea, non avrebbe che da rafforzare «Eunavfor Med», la missione europea che ha l’obiettivo di colpire i trafficanti di uomini all’interno delle acque e del territorio libico. Invece agirà sulla base di un accordo bilaterale con Tripoli. E farà bene, perché la missione europea è pensata, ancora una volta, in base alle esigenze e alle strategie di Francia e Germania, non alle nostre. È un mondo crudele, amico mio.

@Rodolfo

Foto Ansa

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