Non ci va l’elogio funerario se obbliga alla smemoratezza. Perciò a Fo quel che è di Fo

Di Renato Farina
22 Ottobre 2016
Il Nobel lo ha fatto ascendere sopra il giudizio degli uomini, per cui l’ordine diramato su giornali e tv è stato: è intoccabile, tutto di lui è glorioso. Persino le bugie
Il premio Nobel Dario Fo questa mattina a Milano in occasione della presentazione alla stampa del suo nuovo libro "Razza di zingaro", 13 gennaio 2016. ANSA / MATTEO BAZZI

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Inutile. Boris ha cercato di deviare lo sguardo da Dario Fo. Gli interessa ancora quest’uomo. Le sue giullarate, i suoi ghigni e la sua arte stupenda-orrenda hanno segnato la sua giovinezza (nel senso che hanno armato chi voleva fargli la pelle, ma anche lo hanno spinto a guardare con più cura il Mistero neanche tanto buffo della Croce). Boris ha girato gli occhi verso la guglia del Duomo di Milano, e ha fissato la Madonnina d’oro a cui chiedere consiglio. Sono certo che lei avrebbe voluto che più utilmente parlassi di José, un grande martire di 15 anni, il Tarsicio (o Tarcisio) dei nostri tempi, fatto santo da papa Francesco in quelle ore. Ma proprio sotto le sue braccia aperte di Vergine milanese mai con le mani in mano, ci stava in quelle ore Dario Fo, che gli amici hanno circondato con l’icona di Che Guevara.

Povero Dario Fo. Meritava un altro drappo che lo accompagnasse al passo ultimo. Altro che amore agli ultimi. Guevara era stato un tipo che ne ha ammazzati un sacco, di penultimi e di ultimi. Il “Che”, in Bolivia dove trovò la morte crivellato di colpi, ebbe prima il tempo di dare addosso ai contadini poveri che non capivano il suo marxismo e restavano fedeli alla Madonna. E li bollò sul suo diario così: «Animalitos».

Non so cosa avrebbe scritto, su José Sánchez del Río, Dario Fo, se mai lo avesse conosciuto. Lo avrebbe trattato come Che Guevara coi contadini che non si piegavano alle ragioni dell’ateismo rivoluzionario? Torturato dai massoni messicani, che gli strapparono le unghie, non tradì. E scrisse questo biglietto: «Cara mamma, mi hanno catturato, stanotte sarò fucilato. Prometto che in Paradiso preparerò un buon posto per tutti voi. Firmato: José, che muore in difesa della Chiesa cattolica per amore di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe».

Non voglio fare il romantico, immaginare che José incontra Dario e gli dice che ha riservato un posto in cielo al Nobel con suo gran dispitto. Noi qui dobbiamo accompagnare l’universale carezza che si deve ai morti con l’onesto ricordo degli atti di una vita, senza giudicare la coscienza, per carità, anche quando questa non ha dato mostra di palesarsi (vedi reiterata calunnia e rivendicata fino alla fine contro Luigi Calabresi, armando la mano degli assassini). Fo ha centrato tutta la sua arte sulla figura di Cristo. Ne era affascinato. Ma ha cercato, come De André, di negare violentemente il suo essere uomo e insieme persona divina. Ma quale Dio, ma quale resurrezione storica. È un mito diffuso dai preti per il loro potere. Così Fo ha usato, con arte magnifica, i vangeli apocrifi per trasformare la vicenda storica di Gesù in una favola. Ha amato la Madonna, ci vedeva sua madre, ma allora perché la capì così poco da farle rinnegare, di fronte alla morte del figlio, il suo sì, ed evocare Gabriele per maledirlo? Non ha un dubbio, Fo. Impossibile il sì di Maria alla passione. Dio non c’è, perché se esistesse non potrebbe essere così crudele. Forme paradossali di preghiera, certo. Ma in quanti sono stati catturati da questa menzogna, come anche l’altra, e che cioè Maddalena fosse la donna di Cristo, come un banale Dan Brown, ma comunista.

Anche colpire gli innocenti è arte?
Lasciamo fare alla Madonna il suo dovere di madre tenera. Noi però facciamo un altro lavoro. E non ci va l’elogio funerario se obbliga alla smemoratezza. Il Nobel ha fatto ascendere Dario Fo sopra il giudizio degli uomini, per cui l’ordine diramato su tutte le televisioni e i giornaloni, riviste cattoliche comprese, è stato: è un intoccabile, tutto di lui è stato glorioso. Persino le bugie, anche le condanne a morte che ha decretato con la sua arte della propaganda calunniosa, sono avvolte dal manto dell’arte, e perciò al di sopra di ogni giudizio.
Non va bene. Essere smemorati è una virtù che è di Dio, quando dimentica i nostri torti. Ma colpire gli innocenti, ferire le loro famiglie non può essere oggetto di oblio, mai.

Dario Fo ci ha dato così il suo addio sul sagrato del Duomo di Milano. Un funerale laico, molto rosso, molto grillino. A dispetto della Madonnina che sta sopra e tende le mani, e che gli vuol bene, e magari lo salva a dispetto del suo professato ateismo e anche della mia postuma carogneria.

@RenatoFarina

Foto Ansa

Non perdere Tempi

Compila questo modulo per ricevere tutte le principali novità di Tempi e tempi.it direttamente e gratuitamente nella tua casella email

    Cliccando sul pulsante accetti la nostra privacy policy.
    Non inviamo spam e potrai disiscriverti in qualunque momento.

    Articoli correlati

    0 commenti

    Non ci sono ancora commenti.