Non bastano fiori e candele contro il terrorismo islamico

Di Leone Grotti
12 Novembre 2020
L’insegnante decapitato e i fedeli sgozzati in basilica. Obbligata a fare i conti con un nemico che non sa nemmeno nominare, la Francia scopre la fragilità della retorica repubblicana. E di una libertà rattrappita che sa solo farsi beffe di tutto e tutti
Militari davanti alla basilica di Notre Dame di Nizza dopo l'attentato islamista del 29 ottobre 2020

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Il 29 ottobre Nadine Devillers si è alzata di buon mattino ed è andata a pregare nella basilica di Notre-Dame, nel centro di Nizza, a due passi da casa sua. Disoccupata dal 2019, a 60 anni Nadine era alla ricerca di un impiego e avrà sicuramente pregato per la buona riuscita del suo ultimo colloquio di lavoro per un posto in una boutique di vestiti usati. Anche il marito, con il quale era sposata da 26 anni, aveva perso il lavoro e arrivare alla fine del mese per loro diventava sempre più arduo. Quando Brahim Aoussaoui è entrato nella chiesa armato di coltello e di odio verso i «miscredenti», l’ha trovata in preghiera vicino all’acquasantiera e l’ha pugnalata, sgozzata e quasi decapitata. Il 21enne tunisino, sbarcato a Lampedusa il 20 settembre e arrivato in Francia da poche settimane, si è poi avventato su altri fedeli, uccidendone due: la 44enne madre di tre bambini, Simone Barreto Silva, e Vincent Loquès, il sacrestano della basilica di 55 anni. Prima di essere neutralizzato dalla polizia ed essere portato in ospedale in gravi condizioni, Brahim ha ammesso di essere l’autore dell’attentato e, come rivelato dai testimoni ai media francesi, «non smetteva più di ripetere Allahu Akbar, “Dio è grande”».

L’attentato avvenuto nella stessa città dove il 14 luglio 2016 il terrorista tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel si lanciò con un camion sull’affollata Promenade des Anglais, massacrando 86 persone, ha risvegliato in Francia vecchi fantasmi. In realtà, l’allerta nella République era già altissima da due settimane: il 16 ottobre l’insegnante di francese Samuel Paty era stato decapitato al grido di «Allahu Akbar» fuori dalla scuola media dove lavorava dal 18enne rifugiato russo di origine cecena Abdhoullakh Anzorov. Il terrorista islamico voleva «vendicare l’onore» del profeta Maometto, dopo che Paty aveva mostrato in classe alcune caricature realizzate da Charlie Hebdo nell’ambito di una lezione sulla libertà di espressione.

Davanti alla morte dei tre fedeli cattolici a Nizza e a quella del docente di Conflans-Sainte-Honorine è più difficile suonare il solito spartito che viene ripetuto dopo ogni attentato in Europa dal 2015 a questa parte. I terroristi non rispondono bene all’immagine dei «lupi solitari» o «cani sciolti» che si sono «radicalizzati su internet», «sedicenti musulmani» che non hanno niente a che fare con il «vero» islam. Paty infatti è stato decapitato dopo otto giorni di gogna: prima alcuni genitori musulmani degli alunni cui insegnava lo hanno accusato di blasfemia e islamofobia, poi con l’aiuto di alcuni soggetti radicalizzati e noti alle autorità hanno chiesto alla scuola di rimuoverlo dal suo incarico, hanno diffuso video di condanna su internet, ripresi anche dal sito di un’importante moschea, e infine si sono dissociati quando un «pazzo» l’ha sgozzato.

Dopo la morte di Paty, decine di paesi musulmani sono insorti contro la Francia e il suo presidente Emmanuel Macron, reo di aver di nuovo difeso le caricature di Maometto e la libertà di espressione ad ogni costo. Il fronte è stato guidato dal leader turco Recep Tayyip Erdogan, che ha accusato Parigi di trattare i musulmani come «gli ebrei venivano trattati in Europa prima della seconda guerra mondiale». Il ministero dell’Interno francese aveva ordinato di proteggere le chiese per «l’alto rischio» di attentati in vista della festa di Ognissanti, ma i jihadisti si erano già organizzati per colpire.

Cos’è il diritto alla blasfemia

La Francia, indebolita dalle conseguenze della pandemia e della crisi economica, si ritrova smarrita davanti a un nemico che non riesce a nominare e che la attacca per un motivo che i francesi non sembrano più in grado di comprendere. Dopo il duplice attentato, gli intellettuali della gauche non sono neanche riusciti a condannare il terrorismo «islamico». Hanno parlato al massimo di «islamo-fascismo», ripetendo in un appello su Le Monde che «non dobbiamo dividerci o l’islamismo radicale, insieme all’estrema destra, avrà vinto». Purtroppo la religione c’entra eccome perché, come ricordato da Rémi Brague a Famille Chrétienne, «la differenza tra islamismo e islam è di grado e non di natura. L’islamismo non è altro che l’islam portato fino in fondo, alle sue estreme conseguenze. È una religione strana quella in cui i convertiti sono spinti a uccidere il loro prossimo».

Ma la Francia fatica ad accettare anche la realtà descritta dal grande filosofo a Le Figaro: «La Francia viene presa di mira perché è una nazione cristiana e poco importa che molti tra di noi rigettino con disgusto questa visione». Ecco perché, come dichiarato a tempi.it da padre Pierre-Hervé Grosjean, i terroristi islamici hanno attaccato i cattolici nella basilica di Nizza: «Puntano al cuore della nostra identità: le nostre scuole, la nostra libertà, la nostra fede. Non si attacca mai una chiesa per caso, perché la chiesa è testimonianza della fede di un popolo». I francesi si sono stretti attorno alle famiglie delle vittime con manifestazioni di cordoglio, ma «questa volta i fiori e le candele non bastano», continua il sacerdote: «Non bisogna fuggire dalla realtà “spiritualizzando” troppo. Il male si combatte, bisogna guardarlo in faccia e affrontarlo. Ovviamente noi cristiani sappiamo che la battaglia è anche spirituale e dobbiamo combatterla con le armi della preghiera e della carità. Ma è compito dei nostri governanti condurre una guerra culturale, politica e militare contro questa ideologia mortifera».

Al momento la République sembra però incapace di reagire con forza. «Degli ultimi quattro attentati imputabili all’islam radicale, tre sono stati compiuti da rifugiati», ragiona ad esempio l’intellettuale Alain Finkielkraut. «Ma se il governo si propone di rivedere le condizioni del diritto di asilo, tutte le Corti supreme europee e francesi si ribellano». L’unica reazione che accomuna ambienti politici di destra e sinistra è una difesa a oltranza del laicismo e di un presunto (e inesistente) «diritto alla blasfemia».

Vivere senza la domenica

Ancora una volta, sono i vescovi francesi gli unici ad avere il coraggio di andare controcorrente, affermando «Je ne suis pas Charlie». «Io non sono Charlie», ha dichiarato ad esempio il vescovo di Nizza, monsignor André Marceau, criticando le vignette blasfeme su Maometto senza allo stesso tempo giustificare la violenza e il terrorismo. «La libertà di espressione è sacra in Francia» ma, ha aggiunto l’arcivescovo di Albi, monsignor Jean Legrez, «come può la quintessenza dello spirito francese risiedere nella volgarità e nella malevolenza? La libertà di espressione non è assoluta e non dovrebbe mai prendersi gioco del rispetto dovuto alle convinzioni altrui». Il «martirio» di Nadine, Simone e Vincent, insieme a quello di quattro anni fa di padre Jacques Hamel, sgozzato sull’altare mentre diceva Messa, «deve parlare ai francesi», prosegue padre Grosjean. «La forza di un popolo non risiede soltanto nelle armi ma anche nella sua storia, cultura, radici, nella sua anima. Dobbiamo tornare a esserne fieri. Questo attentato alla vigilia della festa di Ognissanti ci ricorda che non possiamo essere cristiani a metà».

Le premesse perché la Francia recuperi la sua identità non sembrano essere delle migliori. In occasione del lockdown appena ripartito, infatti, il governo di Macron ha deciso di chiudere nuovamente le chiese e di impedire la Messa «cum populo», servizio ritenuto «non essenziale». Questa volta, però, vescovi, filosofi e semplici fedeli sono insorti firmando un appello pubblico e depositando un ricorso al Consiglio di Stato: «La libertà di culto non si può mettere in discussione. Fin dalle origini della Chiesa, i cristiani hanno sempre affermato: “Senza la domenica, non possiamo vivere”. Neanche le persecuzioni hanno mai scoraggiato i cristiani dal riunirsi il giorno del Signore. L’Eucaristia è il cuore della nostra vita, non privateci della Messa!».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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