Non basta una condanna per abbattere il «totem» Trump

Di Leone Grotti
01 Giugno 2024
L'ex presidente potrebbe finire in carcere dopo il verdetto di New York, ma secondo i sondaggi neanche questo influenzerebbe il voto degli americani. Il tycoon, infatti, è diventato un simbolo
Una sostenitrice di Donald Trump attende il verdetto della giuria popolare
Una sostenitrice di Donald Trump attende la conclusione del processo all'ex presidente (Ansa)

Donald Trump è stato condannato in primo grado a New York per aver tentato di nascondere uno scandalo sessuale alla vigilia delle elezioni usando i soldi della campagna elettorale e di conseguenza per avere influenzato il voto degli americani. La notizia è storica perché un verdetto di colpevolezza non era mai stato emesso contro un ex presidente degli Stati Uniti, ma difficilmente lo saranno anche le conseguenze.

Trump, piaccia o no, era e resta il candidato dei repubblicani e il suo nome, a prescindere dall’entità della sentenza, sarà sulla scheda elettorale di fianco a quello di Joe Biden alle elezioni presidenziali del 5 novembre. Anche se finisse in carcere, gli americani potrebbero comunque votarlo.

Il processo non cambia il voto

Gli Usa e il mondo intero si sono già divisi in due tra chi ritiene risibili le accuse rivolte al tycoon e chi legge la condanna come l’ennesima dimostrazione del fatto che Trump è «unfit to lead», inadeguato a guidare gli Stati Uniti; tra chi ritiene nullo il verdetto della giuria perché influenzata da «giudici corrotti», come li ha definiti lo stesso Trump, e chi invece ha ottenuto la conferma di ciò che ha sempre pensato: è l’ex presidente a essere il primo dei corrotti.

Se bisogna credere ai sondaggi, l’esito dei processi (Trump dovrà affrontarne altri tre) non sposterà di una virgola l’opinione degli americani sul tycoon. Secondo l’ultima rilevazione, condotta il 23 maggio per Npr/Pbs, il 64% dei repubblicani, il 65% dei democratici e soprattutto il 74% degli indipendenti hanno affermato che un verdetto di colpevolezza o innocenza «non farà alcuna differenza rispetto al mio voto». Anzi, il 25% dei repubblicani e il 15% degli indipendenti hanno dichiarato che proprio un verdetto di colpevolezza li spingerà a votare per il tycoon.

Come ha dichiarato Trump dopo la condanna, insomma, «il vero verdetto sarà emesso dal popolo il 5 novembre».

Perché Trump è stato condannato

È chiaro che se Trump è colpevole dovrà pagare il suo debito con la giustizia, anche se l’ultima parola sul processo di New York potrebbe arrivare tra diversi anni (non c’è dubbio che l’ex presidente farà ricorso). Nessuno, infatti, è al di sopra della legge ma, come ricordato su Tempi da Lodovico Festa, bisognerebbe anche «evitare di usare la “legge” in modo “partisan” per fini politici invece che “in modo bipartisan” per rafforzare le istituzioni».

Molti pensano che Trump sia stato condannato per aver comprato nel 2016 con un ricchissimo bonifico da 130 mila dollari il silenzio della pornostar Stormy Daniels, che voleva vendere ai giornali la storia di una loro relazione sessuale proprio nelle ultime settimane di campagna elettorale, che poi portò Trump alla Casa Bianca.

In realtà, retribuire il silenzio di un’altra persona non è affatto reato negli Stati Uniti. Poiché però Trump avrebbe usato fondi derivanti dalla sua campagna elettorale, la situazione si complica. Ma anche in questo caso, il reato è di quelli che porta al massimo a una sanzione pecuniaria. La tesi dei procuratori, ormai sposata dalla giuria popolare, è invece che il tycoon avrebbe usato i soldi della campagna elettorale per comprare il silenzio di Daniels al fine di falsificare e condizionare le elezioni presidenziali.

Dal carcere alla semplice multa

La tesi è alquanto ardita e difficile da dimostrare, soprattutto perché Trump non aveva certo la fama di buon padre di famiglia e di voci poco edificanti sul suo conto ne erano già uscite a bizzeffe. Poiché i soldi sono stati versati materialmente a Daniels dal suo legale, Michael Cohen, e poi rimborsati a Cohen dalla campagna elettorale del tycoon con la dicitura “consulenza legale”, Trump si è sempre difeso sostenendo di non sapere a che cosa servissero quei soldi.

In ogni caso la condanna, in attesa dell’appello, è arrivata e la pena sarà decisa l’11 luglio, quattro giorni prima dell’apertura della convention repubblicana che confermerà il nome di Trump come candidato alla corsa presidenziale. La pena può variare da un massimo di 4 anni di carcere alla libertà vigilata, dagli arresti domiciliari fino ad una semplice multa.

«Trump è un totem»

Se diversi esponenti del Partito repubblicano hanno definito il verdetto «vergognoso» e le accuse «ridicole», altrettanti del Partito democratico hanno applaudito al grido di «giustizia è fatta». Gli Stati Uniti sono più divisi che mai e lo saranno ancora di più in futuro dal momento che, come sappiamo bene in Italia, non è in tribunale ma solo alle urne che si può battere un avversario politico.

Come dichiarava a Tempi Mattia Ferraresi, caporedattore di Domani, «se da un lato Trump è indebolito dai processi per ovvie ragioni, dall’altro ne esce rafforzato. Quella fetta del popolo americano che ha stabilito con Trump un rapporto quasi mitico-religioso non fa che essere rafforzato nella sua convinzione da questo assedio politico-giudiziario-culturale. Lo zoccolo duro del consenso interno viene galvanizzato e Trump, lo abbiamo visto, ha vissuto di questo fin dall’inizio della sua ascesa. L’ex presidente sta trasformando i processi in uno show, è abile a sfruttarli a suo vantaggio».

Trump, aggiungeva, «incarna il desiderio di forza, un’immagine dell’America con tutte le sue nostalgie, la nazione con la “N” più maiuscola possibile, l’interesse nazionale caricato di tutti i suoi significati. In secondo luogo, è il catalizzatore di una informità, cioè di un groviglio di disagio, rivendicazioni, frustrazioni e malessere che non ha nome o che ha molti nomi. Trump è come un totem, è diventato il rappresentante della frustrazione di tanti americani verso le élites». Non sarà un processo a cambiare le cose.

@LeoneGrotti

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