Il Corriere inneggia alla censura contro i «no vax». Ci sono soluzioni migliori

Di Leone Grotti
10 Maggio 2021
La campagna vaccinale «rallenta» per colpa delle fake news, sostiene il Corriere. Se il fatto è discutibile, la soluzione offerta dal giornale lo è ancora di più

La campagna vaccinale va a rilento per colpa delle «fake news» e dei «no vax», ecco perché c’è bisogno di dichiarare guerra alle «bugie più pericolose» anche attraverso la censura. Lo sostiene questa mattina sul Corriere della Sera Mario Garofalo in un commento molto scivoloso e dalle possibili conseguenze inquietanti.

La favola dei «no vax»

Innanzitutto, non è chiaro a che cosa si riferisca esattamente il caporedattore centrale vicario del Corriere. Secondo Garofalo, «la campagna vaccinale negli Stati Uniti rallenta» per colpa delle fake news. Un fenomeno che «potrebbe riguardare anche noi». Se è vero che, come riporta il New York Times, per la prima volta da marzo negli Usa sono state somministrate meno di due milioni di dosi al giorno, è difficile comprendere come il rallentamento sia attribuibile a fantomatici eserciti di «no vax».

Secondo un recente sondaggio realizzato da The Economist/YouGov, infatti, solo il 18 per cento degli intervistati risponde che non intende farsi vaccinare. Sul restante 82 per cento, soltanto il 14 per cento afferma di «non essere sicuro riguardo al farmi vaccinare».

Il modello è la Lombardia

Per quanto riguarda l’Italia, nella regione più popolosa, la Lombardia, soltanto il 5 per cento di chi avrebbe dovuto ricevere il vaccino di Astrazeneca ha rifiutato l’inoculazione. Sono invece in crescita le richieste di chiarimenti e approfondimenti, ma al termine delle consultazioni aggiuntive la stragrande maggioranza della popolazione accetta il vaccino. Secondo una ricerca di Fondazione Italia in salute, inoltre, l’80,9 per cento degli italiani dichiara di volersi vaccinare, c’è un 9,9 per cento di indecisi e solo il 7,5 per cento di contrari.

Questi dati non sembrano giustificare l’allarme rilanciato dal Corriere. Soprattutto, non è chiaro perché la colpa di chi non è convinto del siero sia da attribuire alle «fake news» diffuse sui social dai «no vax».

Il disastro Astrazeneca

Non sono stati loro, infatti, a gestire in modo disastroso la vicenda Astrazeneca. Il vaccino Vaxzevria, nel giro di pochi mesi, è stato prima raccomandato per gli under 55, poi esteso a tutte le classi di età, mentre ora è indicato per gli over 60. La serie di giravolte, dovuta ai casi di decessi per eventi trombotici legati al vaccino, ha spinto un paese come la Danimarca a cancellare il vaccino di Astrazeneca dalla propria campagna vaccinale perché «i benefici non sono superiori ai rischi».

La stessa Unione Europea, che ha sospeso le somministrazioni per pochi giorni nei mesi scorsi per chiarire se ci fossero rischi per la salute, ha preferito affidarsi al siero di Pfizer, non rinnovando il contratto con l’azienda anglo-svedese. Il cui vaccino ha un’efficacia molto minore rispetto a quello di nuova generazione americano.

La censura cinese non ha funzionato

Perché attribuire questo scempio comunicativo e sostanziale ai «no vax»? Non è chiaro. Se l’analisi di Garofalo sul Corriere desta perplessità, la ricetta offerta è ancora più discutibile. «Nessuno vorrebbe vivere in un luogo in cui fosse obbligatorio dire sempre la verità, perché sarebbe uno Stato totalitario in cui funzionari censurerebbero i dissidenti con la scusa delle falsità», continua. «Ma c’è un diritto di mentire sempre e comunque? Ovviamente no».

Che fare dunque? Secondo Garofalo «tanto per cominciare bisogna distinguere tra bugia e bugia. Chi la dice è in buona o cattiva fede?». Incaricare la magistratura di intentare un titanico processo alle intenzioni dei «no vax» italiani non sembra un’idea particolarmente brillante. Il Corriere suggerisce anche di «abbinare ai post controversi avvisi delle autorità con le informazioni ufficiali». A questo lavoro dei privati dovrebbe affiancarsi invece un lavoro del governo attraverso la promozione di leggi e campagne informative. «Anche arrivando in casi estremi a pretendere la cancellazione delle bugie più pericolose».

Meglio i dottori di Zuckerberg

La censura proposta dal Corriere, in pieno stile cinese, potrebbe essere una soluzione, anche se a Pechino ha creato più guai che altro. Se infatti il regime non avesse censurato quelle che riteneva «fake news» sul Covid-19, e che invece erano la verità, forse l’epidemia non si sarebbe diffusa in tutto il mondo. Potrebbe essere forse più utile sollecitare tutti a fare bene il proprio mestiere.

La scienza dovrebbe essere più umile, senza fingere di essere onnipotente e senza spacciare certezze che non ha; lo Stato potrebbe concentrarsi sul garantire l’approvvigionamento di vaccini, accelerando così la campagna di immunizzazione; il lavoro di fugare i dubbi, da quelli più ragionevoli a quelli più fantasiosi, potrebbe infine essere lasciato al dialogo tra medico e paziente. I dottori avrebbero sicuramente più successo (e competenza) di Mark Zuckerberg.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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