Niguarda. Lo scoop dell’Espresso? Rovistare nella spazzatura

Di Emanuele Boffi
10 Marzo 2012
Tempi.it è andato al Niguarda di Milano, messo sotto accusa da una copertina dell'Espresso. Ha trovato un ospedale pulito, tecnologicamente avanzato, apprezzato in Italia e nel mondo per la qualità delle cure. Perché allora Fabrizio Gatti ha visto solo le cartacce per strada?

Il paradosso è questo: nello stesso numero dell’Espresso in cui Fabrizio Gatti pubblicava il suo racconto di sette pagine sull’ospedale Niguarda di Milano, descrivendolo come «luogo di sprechi e incurie», ecco, nello stesso giornale, a pagina 114, si poteva trovare un articolo celebrativo della “Sanità 2.0” in cui tra gli esempi virtuosi era citato il Niguarda stesso.

[internal_video style=”margin-right: 10px; margin-top: 5px; float: left; width: 300px; height: 200px; ” vid=24487]Effettivamente, c’è più verità nella citazione di pagina 114 che nelle sette pagine di presunto scoop. L’ospedale ha, infatti, avviato il programma iClinic, con cui si può consultare su iPad la cartella clinica elettronica. Il servizio non è ancora completamente operativo, ma a breve le corsie del Niguarda saranno hi-tech: nel blocco Sud sono installate postazioni in cui – gratuitamente – si potrà controllare la propria email, guardare film, videochiamare l’infermiera o scegliere il menù per il pranzo.

Ora, non ci sarebbe nemmeno troppo da insistere sull’operazione dell’Espresso. Basterebbero le parole che il direttore generale, Pasquale Cannatelli, ha pronunciato durante la conferenza stampa, in cui ha smontato, punto per punto, l’inchiesta di Gatti. Ancor di più, basterebbe la certificazione che i Noe e i Nas hanno dato della situazione igienica del nosocomio, smentendo quanto scritto dall’Espresso, e, addirittura, lodando «la pulizia e l’ordine nelle aree di degenza».

Quel che risulta giornalisticamente incomprensibile è la cecità di un articolo del genere. Gatti scrive di aver trovato «i posaceneri pieni di cicche e i cestini di rifiuti che ovunque traboccano come caraffe». Addirittura. L’ospedale di Niguarda è grande come un paese. Si sviluppa su un’area di 420 mila metri quadrati. Ogni giorno vi transitano 9 mila persone tra operatori, pazienti, parenti, fornitori, delegazioni e giornalisti (che, di solito, come deontologia professionale insegna, non si camuffano da inservienti per rovistare nei sacchetti). A Niguarda operano 4.100 operatori, di cui 750 medici e oltre 2.000 tra infermieri, tecnici sanitari e della riabilitazione e ostetriche. Niguarda, come segnala il suo stesso sito, è sede di tutte le specialità cliniche per le patologie dell’adulto e del bambino con oltre 200 ambulatori e 70 strutture cliniche, che ne fanno un riferimento regionale, nazionale e internazionale.

Forse Gatti era troppo impegnato a controllare la capienza dei posaceneri, ma, avesse alzato la testa, avrebbe notato che per i corridoi (lindi come quelli di una banca svizzera e silenziosi come un’emeroteca) circolano non solo lombardi, ma moltissimi italiani provenienti da ogni Regione e persino stranieri che scelgono questo ospedale pubblico (ripetiamo: pubblico) per essere curati. Qui vengono a formarsi medici di tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Libano al Benin. Giusto per aggiungere una nota di colore, il Niguarda piace anche a molti registi (Gabriele Salvatores, Francesca Comencini, Massimo Venier e Luca Guadagnino) che qui hanno scelto di girare alcune scene dei loro film.

Non si fosse limitato a controllare la capienza dei sacchetti di rifiuti – a proposito: deve essere proprio andato a cercare la spazzatura, perché qui appare tutto perfettamente in ordine -, Gatti avrebbe forse trovato il tempo di raccontare quanti e quanto grandi sono i lavori che il Niguarda sta e ha messo in pista per migliorarsi. Fatevi in un giro sul sito dell’ospedale e anche voi vi renderete conto di che cosa stia accadendo in questo piccolo paese della salute. Trovate voi un posto in Italia dove si costruiscano nuove strutture senza creare disagi al personale e ai pazienti. Senza mettere in minima difficoltà l’attività ordinaria. Trovate voi un altro esempio in Italia dove la costruzione di un blocco di ospedale sia fatta nei tempi e nei modi dovuti. Ecco, trovatela. Poi considerate che il Blocco Sud del Niguarda è stato terminato con 15 giorni di anticipo.

Ma, appunto, Gatti aveva altro per la testa. E altro, alla sua mission di killeraggio giornalistico premeva, che non porre qualche domanda di questo tipo: ma se il Niguarda è la discarica di cui parlo, come mai il 15 per cento di chi è ricoverato qui arriva da altre regioni?
Ma, appunto, l’Espresso non aveva tempo di vedere e verificare tutto questo, impegnato com’era a scovare in un sotterraneo – dove, però, non passano né pazienti né medici, dove nei giorni di gelo hanno cercato rifugio dei poveri senzatetto – ecco, lì (scandalo!) vi erano degli escrementi. Il giornalismo d’inchiesta a questo s’è ridotto: a fotografare la cacca.

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