Nigeria. Il ritorno a casa delle donne e dei bambini liberati dalle grinfie di Boko Haram

Di Redazione
05 Maggio 2015
«Alcuni sono stati rapiti che avevano tre anni, non sanno qual è il loro villaggio, non ricordano i nomi dei genitori». Il racconto del vescovo di Yola
Children rescued by Nigerian soldiers from Boko Haram extremists at Sambisa Forest rest at a refugee camp in Yola, Nigeria Monday, May 4, 2015. Even with the crackle of gunfire signaling rescuers were near, the horrors did not end: Boko Haram fighters stoned captives to death, some girls and women were crushed by an armored car and three died when a land mine exploded as they walked to freedom. (AP Photo/Sunday Alamba)

 

Articolo tratto dall’Osservatore romano – Sarà difficile ricongiungere le vittime con le famiglie perché molte di loro sono sotto shock e non sanno nemmeno dire dove e quando sono state catturate: «Alcuni sono stati rapiti che avevano tre anni, non sanno qual è il loro villaggio, non ricordano i nomi dei genitori». A raccontare alla Misna il ritorno a casa, nel nord-est della Nigeria, di donne e bambini finalmente liberi dopo essere stati a lungo prigionieri di Boko Haram, è il vescovo di Yola, Stephen Dami Mamza. In più di trecento hanno viaggiato per tre giorni a bordo dei pick up dell’esercito nigeriano e sono stati accolti nei campi allestiti dal Governo nigeriano a Yola, capoluogo dello Stato di Adamawa. Provengono dalla foresta di Sambisa, la roccaforte degli islamisti presa d’assalto dai militari il mese scorso. Molti sarebbero originari di Gumsuri, un villaggio non distante dalla cittadina di Chibok, divenuta nota nel mondo per il rapimento di oltre duecento liceali nell’aprile 2014.

Secondo monsignor Mamza, la riabilitazione fisica sarà solo la prima parte di un impegno di assistenza che dovrà essere portato avanti dallo Stato con il sostegno delle organizzazioni umanitarie e religiose. Il reinserimento in una vita sociale, l’istruzione e il lavoro saranno sfide complesse. Ma questi, aggiunge il presule, sono anche giorni di speranza: «Da settembre nei campi di accoglienza della diocesi abbiamo assistito fra i tremila e i tremilacinquecento sfollati che avevano dovuto lasciare i loro villaggi a causa dell’avanzata di Boko Haram, ma la maggior parte di essi ha già potuto far ritorno a casa».

Le donne e i bambini giunti nei giorni scorsi a Yola sono denutriti, deperiti, sofferenti: dovranno essere alimentati e curati, fisicamente e psicologicamente. Inutile soffermarsi sui dettagli di racconti raccapriccianti. Troveranno solidarietà, fortificata da anni di conflitto: «Nei nostri campi — osserva Mamza — musulmani e cristiani hanno vissuto gli uni accanto agli altri, nel rispetto e nella pace, combattendo a modo loro il fondamentalismo».

Foto Ansa/Ap

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