Niente alibi, siamo imprenditori

Di Caterina Giojelli
14 Aprile 2025
Come fa uno che non ha un’azienda di famiglia né capitali a creare una realtà con mille dipendenti, 60 locali e un modello replicabile «all’infinito»? Chiedetelo a Giovanni Porcu, mister Doppio Malto
Brinidisi in un locale Doppio Malto

Capitolo primo. Giovanni Porcu aveva solo 15 anni e grandi piani quando arrivò a Londra. “Looking for a job”, lo canzonavano gli amici diretti alle spiagge di San Teodoro, ma lui non ci badava. Poche sterline in tasca e l’irrequietezza del ginnasiale che lo teneva lontano dalle feste del 2 giugno nella sua Nuoro, bussò alla porta di uno dei trenta ristoranti della catena Spaghetti House e, dopo poche ore, lavava già i piatti in cucina. Quindici giorni dopo era in sala, al bancone.

Il giorno del suo sedicesimo compleanno aveva capito che dietro il settore food c’era una logica di business non ancora sviluppata in Italia, patria dei ristoranti a conduzione familiare. Che un ristorante non era solo cucina e servizio ai tavoli, ma anche gestione, food cost, labor cost. Era l’agosto del 1996: McDonald’s completava l’acquisizione di Burghy e Giovanni Porcu, una sorta di ateniese della Barbagia tra migliaia di ragazzi a Londra per lavorare d’estate, inizia a intuire la forza del modello franchising.

«La tua storia può aiutare altri ragazzi»

Capitolo secondo. Giovanni Porcu ha 44 anni, tre figli, una laurea in Giurisprudenza, un passato da avvocato penalista. È fondatore e Ceo di Doppio Malto, che quest’anno supererà i 60 locali e i 90 milioni di euro di fatturato (erano 70 milioni un anno fa, 24 nel 2021). In media, apre un locale al mese. Tornerebbe volentieri a lavare i piatti a Londra piuttosto che rispondere ad altre domande di Tempi sulla sua storia personale: «Un tempo evitavo le interviste, l’autocelebrazione non fa per me», dice. «Poi un amico mi ha fatto riflettere: “Non sei tu, è la tua storia che può aiutare altri ragazzi”. E ho iniziato a raccontarla».

Tutto nasce da una domanda: come diventa imprenditore uno senza azienda di famiglia, mezzi, capitali? Se lo chiese a Nuoro, dopo il liceo classico. A Roma, studiando legge alla Sapienza e vincendo una borsa della Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro. A Milano, durante il praticantato e poi come avvocato in un grande studio di diritto penale d’impresa. E se lo domandò anche il giorno in cui salutò gli associati, vendette l’auto e chiese a suo padre Mario, ex preside a Nuoro, di garantire per lui. «Avevo incontrato il fondatore di Old Wild West: con l’idea di portare in Italia la steakhouse americana, stava costruendo qualcosa di simile a quello che avevo visto a Londra. Era il 2006 e il marchio contava solo tre locali. L’anno dopo ne aprii uno come affiliato a Reggio Emilia, a 200 metri dallo stadio del Sassuolo. Poi un secondo, un terzo…». Effetto domino: in meno di dieci anni, Giovanni Porcu aveva aperto quasi 50 Old Wild West in tutta Italia.

Giovanni Porcu, fondatore e ceo di Doppio Malto
Giovanni Porcu, fondatore e ceo di Doppio Malto

Processi efficienti, conti in ordine

Capitolo tre. «Non ho capito. Hai lavorato a Londra, studiato a Roma, fatto l’avvocato a Milano per vendere hamburger a Reggio Emilia?». Era un giovedì, e mamma Maria Teresa sperava che il lunedì successivo suo figlio tornasse alla carriera forense. «I primi due anni della mia vita imprenditoriale li ho passati in trincea. Dovevo imparare tutto, gli amici mi chiedevano dove fossi finito e l’unica risposta che avevo era: “Non lo so nemmeno io”. Ma non ho mollato». Così, nel 2015, quando acquistò il birrificio pluripremiato di Erba, sapeva di essere nel posto giusto, al momento giusto. «Prima di Doppio Malto avevo già tentato l’impresa del birrificio, nel 2013, ma senza un team stabile il progetto fallì. Una grande lezione: da giovane pensi di poter fare tutto da solo, ma un birrificio è fatto di persone prima che di macchinari. Perciò, quando ho trovato quello di Erba, ho posto una condizione: “Lo compro, ma solo se il team resta”. Nessuno se ne andò».

Per oltre un anno lavorarono su produzione, organizzazione e numeri. «Per costruire qualcosa di grande servono processi efficienti e conti in ordine». Solo allora nacque il progetto retail. Doppio Malto, fino ad allora un birrificio a Erba con un brew restaurant accanto, debuttò nell’ottobre 2016 con il primo “posto felice” a Scalo Milano. Gli chiedi “perché la birra?” e ti guarda come se venissi da Marte: «“Ci prendiamo una birra?” di sera è come dire “ci prendiamo un caffè?” la mattina. È socialità. Inoltre, sono sardo, e la Sardegna ha una grande tradizione brassicola».

Da lì l’espansione, merito della formula. Acqua, malto, lievito, luppolo, ma soprattutto «ristorazione abbinata all’intrattenimento. Un posto felice, come recita il claim». Non era solo questione di location: «Devi stare dove le persone vogliono incontrarti. Una volta trovato il modello giusto, la crescita accelera. È il business della scala: se hai un format efficiente e una “officina” che lo mantiene performante, lo puoi replicare all’infinito. È questa la chiave del franchising, si capisce?». No, ma abbiamo passato diverse serate da Doppio Malto tra chiacchiere, musica, karaoke, stand-up comedy, tornei, quiz, partite, tanto calcio, e sottoscriviamo ogni parola.

L'interno del locale di Doppio Malto a Milano Bicocca
L’interno del locale di Doppio Malto a Milano Bicocca

Una responsabilità enorme

Capitolo quattro. Giovanni Porcu non ama attribuirsi meriti, tutt’al più errori: «Era la terza apertura di Doppio Malto, a Verona. Volevamo fare cultura della birra e, durante una serata con 200 persone, ho annunciato: “Ora ci spostiamo in fabbrica per una lezione sulla birra artigianale. Chi preferisce, può andare al bancone a bersene una”. Morale: in fabbrica andarono in quattro. Ho capito che stavamo sbagliando approccio. Nessuno, dopo una giornata pesante, vuole una lezione, ma un paio d’ore di serenità. Ho detto ai miei: “Abbiamo una responsabilità enorme: far vivere alle persone due ore felici”». La birra stessa deve essere accessibile. «Non facciamo birre complicate. Una birra è beverina se, dopo la prima, hai voglia della seconda». Tra le 18 di Doppio Malto, la sua preferita è la Extra Bitter: «Amara, dissetante, pulisce il palato», nata dalla selezione di 5 luppoli americani e prodotta in Sardegna.

Capitolo cinque. In Sardegna Giovanni Porcu non ci è tornato per ragioni di cuore ma di numeri: «In Lombardia, Emilia e Piemonte non trovavo capannoni disponibili. Cercavo circa 6 mila metri quadrati con un piazzale da 20 mila. Ogni volta che ne trovavo uno, la logistica me lo soffiava. Era il 2017, il retail era esploso e la fabbrica di Erba era satura, oltre che vecchia e non automatizzata. Ho detto: “Basta, ci spostiamo”». Grazie a un processo produttivo già ottimizzato e a un centro di distribuzione centralizzata, avrebbero potuto produrre ovunque. Trovata la soluzione a Iglesias, in quattro anni Porcu ha pagato l’intero stabilimento quanto sarebbe costato un solo anno di affitto al Nord. E senza finanziamenti pubblici. «Abbiamo usufruito solo dei crediti d’imposta per il Sud. Gli incentivi arrivano troppo tardi. Se qualcuno sta annegando, ha bisogno di una mano subito. Io dovevo sostenere la crescita della rete e ho acceso lo stabilimento in meno di diciotto mesi». Fu allora che arrivò il Covid.

La ristorazione nei locali di Doppio Malto si unisce all'intrattenimento
La ristorazione nei locali di Doppio Malto si unisce all’intrattenimento

«Da solo non ce l’avrei fatta»

Capitolo sei. A dirla giusta non arrivò “solo” il Covid, ma altre tre ondate consecutive: la crisi energetica; l’aumento dell’inflazione; la crescita vertiginosa dei tassi d’interesse dal gennaio 2023, «un colpo durissimo per la mia generazione di imprenditori: per quindici anni il costo del denaro è stato basso, a tratti negativo. Poi, all’improvviso, nuove regole, zero preparazione». Il 2022 è stato drammatico, «ad agosto ho ricevuto una bolletta da 850 mila euro, dieci volte il normale. Ho chiesto al fornitore di rateizzarla, mi ha risposto: “No. Se non pagate voi, chi dovrebbe pagare?”». Eppure, Doppio Malto continua a crescere: «Se si smette di investire nel futuro, è colpa della cultura dell’alibi».

Porcu non è nato in una famiglia di imprenditori né in un distretto produttivo, eppure oggi dà lavoro a mille persone, punta a triplicare i locali (tre già aperti in Francia) e in 18 mesi ha trasformato un’ex fabbrica di marmo in uno stabilimento alimentare. «È difficile, ma si può fare. Si ripete che in Italia è impossibile fare impresa, che le tasse sono alte, che il sistema è contro di noi. Tutto vero. Ma gli alibi fanno più danni delle aliquote». E il primo passo per investire nel futuro è investire su qualcun altro.

L’amicizia operativa

Capitolo sette. «Da solo non avrei mai potuto fare quello che ho fatto. Sono partito da meno dieci e ho costruito tutto grazie alle persone che hanno creduto nel progetto». Giovanni Porcu non li chiama dipendenti, ma collaboratori: «L’impresa non è solo business, è anche un progetto sociale». In Doppio Malto, i valori sono chiari: leadership, affidabilità, ambizione, meritocrazia, intelligenza emotiva. «Non parliamo di yes-men, ma persone che vogliono crescere e contribuire. Non possiamo aspettarci che qualcuno ci segua se non sappiamo comunicare la direzione. La generazione Z, quella dello “smart working e tempo libero”, ci sfida a condividere il perché del nostro lavoro». E siccome beve anche meno rispetto al passato, dopo il successo delle birre a bassa gradazione (3-3,5 gradi), Doppio Malto ora lavora a due nuove proposte low alcol, sotto 1 grado.

Capitolo otto. Anche la gratitudine può essere un’impresa di serie A. Non a caso Doppio Malto è Jersey Sponsor del Cagliari Calcio, «il nostro cuore batte in Sardegna, vogliamo raccontare da dove veniamo, ma anche dove vogliamo andare: superare i 100 locali, portare la nostra birra ovunque». Non a caso, subito dopo il lockdown, le cucine di Doppio Malto Milano Navigli e Settimo Torinese hanno iniziato a preparare pasti per i senzatetto distribuiti dalla Fondazione Progetto Arca. «Credo in un’impresa che risponde ai bisogni della società. Questo non significa solo supportare Onlus, ma essere capaci di offrire a chi lavora con noi un percorso di crescita, generare un valore duraturo per tutti, rafforzare la libertà di ognuno», dice Porcu, sottoscrivendo il Manifesto del Buon Lavoro della Compagnia delle opere. «Le persone cercano di più di un ruolo o uno stipendio». Non vede la Cdo come un luogo di lobbying, ma di confronto: «Mi piace il concetto di amicizia operativa, la sfida di rifondare un “buon lavoro” sulla libertà della persona. Per me, tutto è iniziato così».

Il birrificio di Doppio Malto a Iglesias, in Sardegna
Il birrificio di Doppio Malto a Iglesias, in Sardegna

Non indipendenza ma libertà

Capitolo nove. A 15 anni, Giovanni Porcu era già a Londra. Non cercava solo indipendenza, ma libertà: quella di creare qualcosa di suo, scegliere la propria strada ed esserne responsabile. «Essere imprenditore non significa avere il potere dell’autonomia, ma accettare il peso delle scelte e la responsabilità della crescita di tutti». Quindici anni fa ha lasciato la carriera da avvocato per lanciarsi nell’imprenditoria. Dieci anni fa ha rinunciato a un business sicuro per costruire qualcosa di nuovo.

Oggi continua ad aprire in Italia e si espande in Francia, dove prevede di aprire 5 nuovi locali nei prossimi 12 mesi. «La libertà agisce attraverso le persone, non indipendentemente da loro». Per questo, il capitolo dieci di Doppio Malto non lo scriverà solo Giovanni Porcu, ma lo stanno già scrivendo migliaia di persone, dal più vecchio mastro birraio al più giovane neolaureato della gen Z che sta preparando una tesi di laurea su Doppio Malto.

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Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di aprile 2025 di Tempi. Il contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

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