Niente affari per chi non fa il bravo. Così la Cina sorveglia le imprese (anche straniere)

Di Redazione
11 Dicembre 2019
Con il "corporate social credit system" il regime comunista di Pechino estende alle imprese il tentacolare sistema di controllo già utilizzato per sorvegliare i suoi cittadini
Telecamere di sorveglianza in Cina

Il nuovo incubo per le aziende interessate a fare affari con la Cina si chiama “corporate social credit system”: un gigantesco database che tiene traccia di tutti di comportamenti positivi e negativi riferibili a ciascuna società sorvegliata, allo scopo di assegnare premi o punizioni in base all’affidabilità. Si tratta – informa da Hong Kong il South China Morning Post – di una estensione del famigerato “Sistema di informazione sulla reputazione personale” di cui Tempi ha già raccontato in più occasioni le applicazioni inquietanti.

Se appunto si tiene presente che tale strumento pervasivo di controllo – pur in fase ancora sperimentale (l’entrata in vigore in tutto il paese è prevista nel 2020) – viene già utilizzato per la repressione dei cittadini, come abbiamo scritto proprio pochi giorni fa, allora si comprende perché le aziende sono disposte a pagare fior di quattrini pur di sfuggire al meccanismo. Qualora un’impresa si macchi di azioni giudicate negativamente dal regime cinese, infatti, il “coroporate social credit system” può inserirla automaticamente nella lista nera delle società da penalizzare. E questo non vale solo per le aziende cinesi, ma anche per quelle straniere, spiega l’agenzia Bloomberg in un articolo pubblicato domenica.

«In un ambiente dove un tweet, una cartina o anche solo uno slogan su una maglietta possono provocare un mondo di tormenti, le imprese sperano di restare al di fuori della portata dei radar del governo. La costruzione di un controllo di conformità onnicomprensivo nel cyberspazio può solo peggiorare la loro ansia».

PREMI E PUNIZIONI

Il “corporate social credit system”, spiega ancora Bloomberg, aggrega informazioni provenienti da diverse fonti, compreso il web, per assegnare una valutazione alle imprese, sulla falsa riga appunto di quanto già avviene a livello personale per 1,3 miliardi di cittadini. Il criterio è «il rispetto o la violazione di centinaia di regole».

Le aziende che “fanno le brave” possono ottenere premi come sgravi fiscali, condizioni migliori sui mutui, vantaggi nelle gare d’appalto e non solo.

«Quelle che hanno un buon social credit [reputazione sociale, ndr] subiranno meno ispezioni e perciò avranno minori costi di compliance e minori oneri sulle risorse pubbliche, ha detto a luglio il vicepresidente della Commissione nazionale per lo Sviluppo e le riforme di Pechino, Lian Weiliang. Le società che mettono in pericolo le vite e i beni delle persone, ha proseguito Weilang, andranno incontro a punizioni “molto gravi”, compresa l’estromissione dal mercato».

VIVA IL MERCATO APERTO

L’innovazione, come detto, non riguarda soltanto le imprese cinesi. Lo conferma sempre a Bloomberg Andrew Polk, cofondatore di Trivium China, un’agenzia di Pechino che offre consulenza sul nuovo sistema di sorveglianza aziendale del regime.

«Il sistema sarà ampiamente utilizzato in Cina per supervisionare compagnie locali e straniere, e le imprese dovranno dedicare risorse per assicurarsi che gli archivi che le riguardano siano puliti».

Il pericolo concreto è l’uso politico che potrà fare il regime del suo nuovo “corporate social credit system”. Ennesimo paradosso per quella che è la seconda economia del pianeta, che fa parte dell’Organizzazione mondiale del commercio ed è attualmente portata sugli scudi come paladina del mercato aperto da tanti critici dei muri e dei dazi di Donald Trump. Dopo le innumerevoli furbate in materia di concorrenza e di trasparenza, ci mancava il filtro sociale e ideologico all’ingresso. Scrive Bloomberg:

«La Cina dice esplicitamente che il punto è spaventare le aziende: rendere la minaccia della pubblica gogna e della penalizzazione così incombente che esse non evaderanno le tasse, non maltratteranno i clienti o i lavoratori, non le spareranno grosse sui loro prodotti. Alcuni temono però che il sistema possa essere usato per obbligare le imprese ad assecondare la linea del partito».

LEGGE E IDEOLOGIA

Naturalmente il proclama è sempre la lotta alla corruzione e alla disonestà. La China Railway Construction Corporation, per esempio, è finita nella lista nera per aver insabbiato le morti di tre operai nel 2017 durante la realizzazione di una ferrovia per il trasporto del carbone dalla Mongolia interna alla provincia dello Jiangxi. Punizione: per un anno ispezioni più frequenti, limitazioni nelle gare d’appalto, restrizioni sulle emissioni di bond e azioni.

Tuttavia è noto che cosa intenda il regime comunista cinese quando parla di lotta alla corruzione. «La reputazione sociale misura l’osservanza della legge», spiega a Bloomberbg Jeremy Daum, senior fellow al Paul Tsai China Centre della facoltà di legge a Yale:

«Se le imprese hanno paura che le leggi cinesi possano essere utilizzate per fini politici, allora fanno bene ad essere preoccupate».

IL PREZZO DELLA LIBERTÀ

Secondo Bloomberg la prospettiva è diventata più concreta dopo il recente caso – ne ha parlato anche Tempi – delle partite dell’Nba cancellate dai canali cinesi dopo che il manager di una squadra americana di basket ha pubblicato un tweet a favore delle manifestazioni pro democrazia a Hong Kong. «Gli sponsor locali hanno interrotto ogni rapporto e la lega ha detto di aver subito perdite sostanziose», ricorda Bloomberg.

A rendere il tutto ancor più inquietante è il fatto che appare praticamente impossibile sapere con certezza come si finisca nella lista nera del sistema. Di qui la scelta da parte di molte imprese occidentali di affidarsi a consulenti specializzati nel tenere a bada il controllore. Si legge nell’articolo di Bloomberg: «Trivium China chiede 2.500 dollari l’ora per illustrare il social credit ai clienti e fino a 50.000 per una revisione».

Foto Ansa

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