
Nessun malato merita la legge sul suicidio assistito in cantiere a Londra

Il governo sta lavorando per affidare ai privati l’erogazione del suicidio assistito in Inghilterra e Galles. Quando il Times ha pubblicato l’anticipazione-bomba, Kim Leadbeater si è affrettata a rassicurare i media: i malati non dovranno sborsare una sterlina. La parlamentare laburista, promotrice del disegno di legge Terminally Ill Adults (End of Life), promette infatti di arrivare, a colpi di emendamenti, a una legge che riduca le attese e la pressione sul Servizio Sanitario Nazionale (NHS), garantendo al contempo l’accesso gratuito alla morte assistita.
L’obiettivo è aiutare «centinaia di persone ogni anno a porre fine alla propria esistenza», seguendo il modello delle cure odontoiatriche, che permette a dentisti e cliniche private di offrire trattamenti ad alcuni pazienti attraverso il NHS. Questo non precluderebbe agli stessi operatori privati di trarre un «ragionevole» profitto dalla buona morte, offerta anche a pagamento. «Non ci sarà alcun divieto per le cliniche private di offrire il suicidio assistito – scrive il Times -, consentendo ai pazienti di scegliere come porre fine alla propria vita». Inoltre, «i ministri non hanno “alcuna obiezione di principio” all’esternalizzazione per ridurre al minimo l’effetto sui servizi del NHS».
Appaltare il suicidio assistito ai privati: «Il profitto metterà a rischio i vulnerabili»
Poco importa se altrove (vedi in Belgio) uccidere sia già diventato redditizio. O se gli oppositori in patria parlano di «disastro assicurato». «Controlli e tutele saranno visti come ostacoli all’attività commerciale, il benessere dei pazienti vulnerabili sarà messo a rischio dal movente del profitto», ha denunciato Catherine Robinson, portavoce di Right to Life UK, ricordando il business di Dignitas. Né sembra pesare il monito della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, che ha ribadito con fermezza la propria opposizione alla legalizzazione, invitando i cattolici a sollecitare i propri parlamentari a votare contro il disegno di legge, che dovrebbe tornare alla Camera il 25 aprile per la terza lettura.
I funzionari stanno preparando una valutazione d’impatto per stabilire i costi del programma di suicidio assistito e il suo impatto sul NHS. Se Leadbeater si limita a stimare «nell’ordine delle centinaia» il numero dei candidati, il modello preso in considerazione è quello dell’Oregon, dove i numeri sono aumentati costantemente da quando la legge è stata modificata 25 anni fa. Attualmente, lo 0,8 per cento dei decessi nello Stato dell’Oregon avviene per suicidio assistito, un dato che, applicato al Regno Unito, corrisponderebbe a oltre 4.000 decessi all’anno. I costi non sono ancora stati calcolati, ma «a gennaio il governo ha sostenuto una risoluzione che autorizza “qualsiasi spesa sostenuta ai sensi o in virtù della legge”, che i critici hanno paragonato a un assegno in bianco».
La legge che ha già perso i paletti
Dopo aver smantellato in commissione la bozza per la legalizzazione del suicidio assistito, approvata alla Camera dei Comuni alla fine di novembre, Leadbeater sta cercando di recuperare consensi superando obiezioni come quelle del segretario alla salute Wes Streeting: «Ci sarebbero implicazioni in termini di risorse nel praticare [il suicidio assistito]. E quelle scelte avverrebbero a scapito di altre». «Si potrebbe arrivare a una situazione simile a quella degli Stati Uniti e dell’Australia, dove esiste un gruppo di medici specializzati nel suicidio assistito e profondamente motivati in questo ambito», ha dichiarato una fonte governativa.
Sostenitori e oppositori concordano su un solo punto: il Terminally Ill Adults (End of Life) trasformerà profondamente il rapporto tra medico e paziente, Stato e cittadino. Un atto di tale portata meriterebbe un esame approfondito, soprattutto traendo insegnamento da quanto accaduto in Oregon e, ancor più, in Canada. Qui, una legge introdotta per una «piccola percentuale» di sofferenti con pochi mesi di vita ha aperto la strada al suicidio assistito come opzione terapeutica del sistema sanitario nazionale. Solo nel 2023 si sono registrate 15.300 “vittime”, quasi il 5 per cento del totale dei decessi, comprendendo persone che non erano nemmeno malate terminali, ma semplicemente affette da “bisogni sociali insoddisfatti”, come la mancanza di un alloggio o di prospettive future. Presto, inoltre, anche coloro che soffrono di disturbi mentali, come l’anoressia, potranno accedere al suicidio assistito.
«Non c’è nulla da guadagnare da una cattiva legge sul fine vita»
Come già scritto da Tempi qui e qui, la commissione incaricata dell’esame del disegno di legge è fortemente sbilanciata a favore della causa del suicidio assistito: solo otto dei 23 deputati si oppongono. Inoltre, tra gli esperti chiamati a testimoniare sugli effetti della legalizzazione all’estero, non è stato invitato nessun rappresentante dal Canada. Al contrario, i parlamentari hanno ascoltato i medici australiani dichiarare che il criterio dei sei mesi di vita, previsto inizialmente dal progetto di legge inglese, dovrebbe essere esteso a 12 mesi. È caduta, prima ancora che il testo entrasse in vigore, anche la garanzia dell’approvazione dell’Alta Corte per ogni caso di suicidio assistito, prevista nel testo di legge approvato alla Camera. Non si tratta di una modifica marginale: oltre 60 parlamentari avevano indicato la supervisione di un giudice (ora sostituito da «un comitato di tre esperti») come condizione essenziale per il loro voto favorevole a novembre.
«Cresce la sensazione che i favorevoli al Terminally Ill Adults (End of Life) Bill vogliano farlo passare alla fase di commissione il più rapidamente possibile», scrive ancora il Times in un durissimo editoriale contro l’intenzione, ventilata da Leadbeater e dai suoi sostenitori, di “chiudere tutto la prossima settimana” senza accettare ulteriori obiezioni. «La signora Leadbeater dovrebbe prendersi il suo tempo. […] Non c’è nulla da guadagnare da una cattiva legge, men che meno da una che disciplina la vita e la morte. Alcuni deputati che esaminano il disegno di legge sembrano credere che il loro dovere principale sia sostenere la signora Leadbeater, piuttosto che analizzare e migliorare le sue proposte».
Il Times contro il suicidio assistito abborracciato da Leadbeater
La commissione ha inoltre bocciato emendamenti che avrebbero fornito ulteriori garanzie, come quello volto a prevenire il doctor shopping, ovvero la ricerca di un medico disposto a somministrare farmaci letali. E oggi il ruolo riservato al settore sanitario privato solleva ulteriori interrogativi: «L’idea di un furgone con un logo che si ferma davanti alla casa di qualcuno per consegnare farmaci letali difficilmente rassicurerà chi è preoccupato per il rispetto delle procedure. Ma l’uccisione privatizzata potrebbe rivelarsi necessaria: potrebbero non esserci abbastanza risorse nel NHS per supportare la pratica, così come non ci sono abbastanza giudici per autorizzare le morti assistite».
Qualsiasi deputato indeciso sul disegno di legge sul suicidio assistito «dovrebbe schierarsi con la cautela e votare contro quando tornerà alla Camera dei Comuni – conclude il Times -. Sir Keir Starmer sembra favorevole a una modifica della legge, ma senza un esplicito sostegno del governo. Finora, il risultato è stato un processo scadente e poco edificante».
Quei 100 mila in fin di vita che non possono accedere alle cure palliative
Non si tratta solo di brutto spettacolo. Come si fa a non mettere in dubbio se la “scelta” di porre fine alla propria vita possa davvero essere considerata “libera” quando a circa 100.000 persone in fin di vita nel Regno Unito ogni anno viene negata un’adeguata assistenza palliativa? Come può un comitato di esperti (così come un giudice) che non conosce né ha mai visto il paziente che ha richiesto il suicidio assistito dare il via libera alla fornitura della morte assistita? Un comitato che non conosce il malato e non saprà mai se la sua sia stata stata libera scelta e non una scelta dettata da paura, disperazione o pressione in famiglia.
Soprattutto, si è chiesta Rachel Clarke – medico di cure palliative a favore della legalizzazione, chiamata a testimoniare in commissione -, come può un giudice o un comitato di sconosciuti esperti stabilire se «il desiderio di morire potrebbe essere sostituito da uno di vivere, una volta che ha ricevuto cure palliative adeguate e incentrate sul paziente?». Domande e pazienti che meritano più di una una «legislazione affrettata, raffazzonata, improvvisata» che, inavvertitamente o meno, rischia di istituzionalizzare un sistema in cui le persone potrebbero essere costrette a porre fine alle loro vite. «La posta in gioco non potrebbe essere più alta».
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1 commento
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Tutto ciò è raccapricciante e purtroppo si sposa con le tremende sentenze inappellabili che, in Inghilterra e altrove, decretano la morte, contro la volontà dei genitori, anche di bambini già nati ma “marchiati come inguarbili” da una scienza in delirio di onnipotenza (ma quando mai le previsioni su quanto resta da vivere ad un malato terminale ci azzeccano?).
Senza il senso del limite – di ciascuno di noi, della società, dello Stato e via salendo – si finisce in queste tragedie e in quelle delle guerre.
Non so cosa sia peggio.
Signore, salvaci – in particolare in questo momento salva gli inglesi da una legge folle – e guidaci su sentieri veramente umani.